Venticinque donne e tre uomini si stavano preparando ad andare al lavoro come ogni giorno nel punto vendita Mercatone Uno di Monfalcone in provincia di Gorizia. Alle sette, due ore prima dall’inizio del turno, hanno ricevuto un WhatsApp dall’area manager: lo storico marchio nato a Imola a cavallo negli anni Settanta e reso visibile in Tv dalle imprese ciclistiche dell’inquieto Marco Pantani che indossava la sponsorizzazione sulla maglia rosa e gialla, ieri è stato dichiarato fallito dal tribunale di Milano. Come loro, anche i 1860 lavoratori del gruppo si sono recati sul luogo di lavoro e hanno trovato le serrande abbassate. Increduli, i lavoratori hanno scoperto che sulla pagina Facebook della società era stata pubblicata la sentenza fallimentare. Nessuno sapeva del fallimento solo il giorno prima. Davanti alle serrande sono arrivati nel frattempo i clienti. A Rubiera avevano versato acconti per migliaia di euro, ma la merce dietro le porte chiuse era inaccessibile. Luca Chierici, segretario Filcams Cgil Reggio Emilia, ha raccontato che alcuni di loro se la sono presa con i lavoratori. Incolpevoli.

IL TAM TAM della notizia è rimbalzato da Nord a Sud. Ai messaggi hanno risposto centoventi lavoratori di Pesaro, Monsano e Civitanova Marche e Colonnella. A Lecce 123 famiglie erano allibite. Le 250 in tutta la Puglia hanno fatto eco. E tra Bologna, Imola e San Giorgio di Piano ci sono almeno 200 persone agghiacciate, senza contare quelle dell’appalto della logistica. Il paese è stato colpito da un trauma collettivo. Per le modalità brutali in cui è avvenuta la serrata, il modo osceno in cui è stata comunicata. È la crisi più grave in una crisi di cui nessuno ricorda l’inizio. E a poche ore dall’apertura delle urne il disastro umano ed economico è stato trasformato in un colpo inatteso contro un governo impotente davanti a rovesci di queste dimensioni.

QUESTO È L’ULTIMO APPRODO di un’odissea iniziata sette anni fa. Dopo anni di contratti di solidarietà, cassa integrazione, amministrazione straordinaria e un altro fallimento dal quale, a distanza di tre anni, i lavoratori aspettano gli arretrati, nove mesi fa è arrivata una svolta. La Shernon Holding, proprietà della Star Alliance Limited con sede a Malta, acquistò dalla Mercatone in amministrazione straordinaria 55 punti vendita, con l’obbligo di assumere oltre duemila lavoratori. Le cifre sembrano essere leggermente più basse. A quanto pare la nuova gestione è subentrata in 47 punti vendita con l’impiego di 1860 persone. Dopo l’iniziale sollievo è arrivata la preoccupazione. Già nei primi mesi buona parte dei soci che avevano costituito la società per l’acquisizione sono usciti dall’assetto proprietario. Una decisione che non ha destato l’allarme dei commissari incaricati di seguire il passaggio.

VALDERO RIGONI, amministratore delegato di Shernon Holding, aveva annunciato nel novembre 2018 investimenti da 25 milioni di euro e un piano di rilancio industriale che avrebbe dovuto raddoppiare il fatturato entro il 2022 fino a raggiungere mezzo miliardo di euro, ma già alla fine dell’anno la merce nei magazzini, e di conseguenza nei negozi, cominciava a scarseggiare per la mancanza di finanziamenti e di liquidità. Per i sindacati quella cifra era già insufficiente per garantire una vera ripresa. Avevano ragione. Sebbene risultassero già vendute a marzo le merci non venivano più consegnate nei punti vendita di quella che è stata soprannominata l’«Ikea italiana dei mobili». Per il tribunale di Milano la Shernon Holding ha un indebitamento complessivo di 90 milioni maturato in nove mesi con perdite gestionali fisse di cinque-sei milioni al mese. A questo si è aggiunta «la totale assenza di credito bancario e di fiducia da parte dei fornitori». Per l’avvocato Marco Angelo Russo, curatore del fallimento, sarebbe questo il motivo della cessazione dell’attività.

VERSO LA METÀ DI APRILE, la valanga è iniziata. Senza avvertire nessuno, nemmeno il ministero dello sviluppo, l’azienda ha presentato istanza di concordato preventivo presso il Tribunale di Milano. Il verdetto di ammissione al concordato era atteso il 10 giugno. Il Tribunale di Milano lo ha anticipato il 23 maggio scorso. «Ha verificato lo stato debitorio e l’inconsistenza del progetto di rilancio e ha decretato il fallimento» ha commentato Stefano Biosa (Filcams Cgil Bologna). «I costi erano notevolmente superiori ai possibili ricavi e quindi era impossibile proseguire l’attività senza arrecare gravi pregiudizi ai creditori» ha aggiunto l’avvocato Russo. La curatela è stata autorizzata a restituire l’azienda all’amministrazione straordinaria. La decisione potrebbe produrre conseguenze pesanti sulle 500 aziende creditrici per 250 milioni di euro circa non ancora riscossi. Per William Beozzo, direttore dell’associazione dei creditori sono a rischio quasi 10 mila persone. «È inaccettabile che gli organi di vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico (Mise), che appena la scorsa estate avevano permesso l’acquisto non abbiano verificato la sostenibilità degli acquirenti» ha dettoBarbara Neglia (Filcams Cgil Puglia). La critica investe Di Maio: non ha fatto nulla per controllare la situazione. «Mi auguro che il governo si attivi per richiamare proprietari e curatori alle loro responsabilità» ha incalzato Maurizio Landini (Cgil). «Fatto inquietante . ha aggiunto Annamaria Furlan (Cisl) – Sui lavoratori è stata scaricata una gestione scandalosa».

A MENO DI 24 ORE dalle europee i fratelli-coltelli Lega e Cinque Stelle si sono accorti del problema. Si chiama panico elettorale. Di Maio, sorpreso, ha deciso di anticipare un tavolo al Mise previsto il 31 maggio. Mentre il ministro dell’interno tutto-fare e fuori ruolo Salvini ha preso il posto dello stesso Di Maio: «Mi impegnerò personalmente incontrando sindacati, lavoratori, fornitori e proprietà, non si possono lasciare dipendenti a casa senza rispettare gli impegni presi». È stato l’ultimo duello prima del gong di stamattina. Una gara fuori tempo massimo umiliante per i lavoratori. «Troveremo un acquirente italiano» ha precisato il pratico sottosegretario al lavoro Claudio Durigon. «Una vergogna: una crisi aziendale gestita in questo modo» ha attaccato Nicola Zingaretti (Pd). «Avevo visitato due punti vendita in Toscana e in Abruzzo, ho presentato due interrogazioni a Di Maio per avvertirlo dei rischi – ha ricordato Nicola Fratoianni («La Sinistra») – In questi otto mesi, precisamente, dov’era il governo?».