Radicamento, sicurezza, futuro, famiglia: in una parola «casa». Per gli italiani qualcosa di più che una semplice abitazione, un attaccamento che ha radici antiche. Lo spiegava bene il Censis quando rilevava che il 41,1% dei nostri concittadini, soprattutto nei piccoli comuni, non «cambierebbe mai» la propria casa. Il 70% degli italiani oggi è proprietario di un alloggio, mentre 30 anni fa lo era solo una persona su due. Di segno opposto è, ovviamente, il trend degli affittuari, la cui quota si è dimezzata in questo arco di tempo. E, secondo una ricerca del Nomisma, «l’80% degli affittuari è insoddisfatto di abitare in affitto e preferirebbe avere la casa di proprietà se non vi fossero problemi economici». A fine 2012 l’«Atlante Censis» registrava 907 mila famiglie intenzionate a comprare casa, in calo costante negli ultimi anni, ma solo il 53,5% secondo le previsioni sarebbe riuscita nell’anno in corso a realizzare l’acquisto.

Ieri, l’ultimo dato che completa il quadro lo ha fornito il Rapporto 2013 di Abi e Agenzia delle Entrate: il mercato immobiliare della casa è arrivato nel 2012 ai minimi storici dal 1985. Crollato del 27,5% rispetto all’anno precedente, con un giro d’affari ridotto di ben 27 miliardi di euro. Ma anche nei primi tre mesi di quest’anno – secondo un sondaggio congiunturale di Bankitalia – il mercato degli immobili è rimasto debole, con prezzi di vendita e affitti in calo. A incidere «sono vari fattori», come spiega il segretario confederale della Cisl, Fulvio Giacomassi: «La decrescita economica, la diminuita disponibilità finanziaria di imprese e famiglie, il sistema bancario che ha stretto le maglie del credito e mantenuto tassi alti per i mutui, e la pesante tassazione indifferenziata sulla casa». Checché se ne pensi, è un sogno, quello della casa che per gli italiani si infrange insieme alle speranze di un futuro sereno.

Nel 2012 sono state 150 mila le compravendite in meno rispetto all’anno precedente. Il valore di scambio delle case vendute è pari a 75,4 miliardi di euro: 27 miliardi in meno rispetto al 2011. La flessione maggiore c’è stata nel Nord-Est (-28,3%), dove generalmente si realizza il 18,3% del mercato nazionale. Tutto fermo anche nelle otto principali città italiane (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze) dove si sono vendute il 22,4% di abitazioni in meno. Ma anche quando l’acquisto va in porto, comunque gli italiani scelgono sempre di più piccoli tagli, soprattutto nei capoluoghi: l’anno scorso in totale sono stati venduti ad uso abitativo circa 46 milioni di metri quadrati, con una superfice media per unità in calo a 103,5 metri quadrati (-25,4% dal 2011).

Non va dimenticato però che, secondo l’ultimo rapporto Censis, «gli acquirenti sono in prevalenza già proprietari: 8 su 10». E solo il 13% appartiene a una fascia di reddito medio. Infatti le compravendite di alloggi con mutuo ipotecario, pari al 38,6%, sono calate fortemente nel 2012 (-4,3%) confermando la flessione dell’anno precedente, secondo il rapporto dell’Agenzia delle entrate presentato ieri a Roma. Di conseguenza, scendono anche i prezzi degli immobili: 2,7% in meno rispetto al 2011. E con un’ulteriore flessione dell’1,1% rispetto al trimestre precedente, nei primi tre mesi del 2013. In calo sarebbero anche i prezzi degli affitti. Ma senza “equo canone” è come svuotare il mare con un cucchiaino, visto che negli ultimi dieci anni il tasso di crescita dei canoni (secondo dati ufficiali Istat e dunque in parte sottodimensionati) è aumentato del 130%, fino al 150% nelle grandi città.

Nulla di strano, dunque, se dal 2008 ad oggi il numero di provvedimenti di sfratto emessi (290 mila di cui 240 mila per morosità) è aumentato del 60%. Sono 70 mila solo nel 2012 (83% per morosità) e se ne attendono altri 300 mila nei prossimi tre anni. Negli ultimi cinque anni sono stati eseguiti 140 mila sfratti di cui 100 mila per morosità. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che non riescono a pagare il canone: per il 38% anziani, il 26% immigrati e il 21% giovani under 35.

Eppure, ci sono 88.512 immobili privati (il 7,5% del totale) sfitti. Mentre 650 mila persone attendono di unirsi all’esercito di un milione di individui che vive in case popolari. E attenderanno a lungo, perché da vent’anni in Italia l’edilizia popolare è ferma: quella pubblica, di proprietà dello Stato o degli enti locali, è calata del 20%. Da un milione di abitazioni nel 1991 a 800.000 nel 2007, fino ad attestarsi oggi al 4% del totale, lontana dalla media europea del 20%. Anche quella sovvenzionata è diminuita, dalle 34 mila abitazioni per anno dei primi anni ’90 a 1.900 negli anni 2000, mentre in Francia continuano a costruirne più di 80 mila l’anno e in Gran Bretagna 30 mila.

E allora che fare? «Serve un nuovo piano operativo sulla casa –propone il segretario Cisl, Giacomassi – capace di dare risposta ai nuovi bisogni sociali di giovani coppie, studenti, anziani, famiglie e persone in difficoltà». Riqualificazione, edilizia pubblica, incentivi all’housing sociale: sono alcune delle proposte per uscire dall’impasse. Nel frattempo, però, sia d’esempio l’azione di Sandro Medici, minisindaco di Roma e candidato per il Campidoglio: requisire case sfitte dai grandi gruppi imprenditoriali e affidarle a equo canone alle famiglie senza casa. Si può.