Per essere dei «pirati» non fanno molta paura. Anzi. A parte cinque uomini, individuati e fermati dalle forze speciali maltesi come i presunti responsabili del «dirottamento» della Elhiblu 1, tutti gli altri sembrano più dei poveri disperati felici solo di essersi lasciati dietro le spalle l’inferno dei centri di detenzione libici.

I primi a scendere dalla petroliera che per ventiquattro ore ha mobilitato le forze armate di Malta e allertate quelle italiane, sono una donna con in braccio un bambino di pochi mesi e un’altra che tiene per mano un ragazzino. Poi c’è un uomo che barcolla e stramazza al suolo non appena arriva in fondo alla passerella, seguito da un altro che, quando la tocca, bacia la terra. Infine tutti gli altri, uno alla volta, senza le urla di gioia sentite in passato dai disperati come loro che li hanno preceduti in situazioni analoghe, ma non fa niente. Degli oltre cento migranti salvati mercoledì mattina dalla nave cisterna battente bandiera dello stato di Palau, 19 sono donne, una della quali incinta che è stata trasferita all’ospedale Mater Dei dell’isola, e 12 sono bambini. «Dirottatori per necessità» li ha definiti ieri L’Osservatore romano, il giornale della Santa sede. «Noi non veniamo meno alle nostre responsabilità. Noi seguiremo in modo adeguato tutte le regole internazionali», è stato invece il commento del premier maltese Joseph Muscat. Mentre da Roma Matteo Salvini ha annunciato la creazione di un asse con Malta: «Proposte concrete contro l’immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani nel Mediterraneo», ha spiegato il ministro degli Interni.

Il blitz messo a punto dalla Valletta scatta alle 7,28 di ieri mattina, quando la Elhiblu 1 si accinge a varcare il limite delle acque territoriali maltesi. Un pattugliatore affianca la petroliera sbarrandole il cammino mentre uomini gli uomini delle forze speciali salgono a bordo e riprendono il controllo della nave trovando «pochissima resistenza», come ammettono le stesse autorità maltesi. La petroliera viene poi scortata fino al molo Boiler Wharf del porto della capitale e dopo un po’ i migrati vengono fatti scendere. Cinque di loro percorrono il tratto che li separa dal molo con le mani legate da fascette di plastica. Secondo i primi accertamenti avrebbero diretto il «dirottamento» una volta capito che la nave stava facendo rotta verso Tripoli dopo il salvataggio. «Erano molto scossi e non volevano a nessun costo essere ricondotti in Libia», ha raccontato il capitano ai militari, secondo i quali da quel momento l’equipaggio non avrebbe più avuto il controllo della petroliera.

Con l’eccezione dei cinque arrestati, tutti i migranti sono stati trasferiti a bordo di van della polizia all’Initial reception center, il centro di prima accoglienza di Marsa dove nei prossimi giorni verranno identificati. «Spetta alle autorità maltesi vagliare quanto è successo», è stato il commento secco di una portavoce della Commissione europea.

Anche se per ora tace, è chiaro che Bruxelles non potrà far finta di non vedere quanto accade tutti i giorni nel Mediterraneo centrale. La decisione presa nei giorni scorsi di prorogare la missione europea Sophia privandola però delle sue navi, rischia di far aumentare il numero dei migranti che perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. E questo proprio quando l’avvicinarsi della bella stagione spingerà i trafficanti a mettere in acqua sempre più imbarcazioni cariche di uomini, donne e bambini disposti a tutto pur di non tornare in Libia.

Proprio come hanno fatto i 108 che si trovavano a bordo della Elhiblu 1. «Dobbiamo guardare a queste persone con umanità», ha affermato ieri Johannes Bayer, presidente della ong tedesca Sea Watch. «Qualsiasi azione compiuta è stata una autodifesa contro le mortali conseguenze che sarebbero state imposte con la forza dall’inumana politica europea delle frontiere».