Luca Mercalli sale dal 1986 al Ghiacciaio Ciardoney, sul Gran Paradiso, che in poco più di trent’anni è sceso di 40 metri ed è arretrato di oltre quattrocento. «Il trend prosegue e ormai non ci stupisce più. Andiamo ogni primavera a misurare la neve dell’inverno, e nonostante stagioni in cui il ghiacciaio viene ben nutrito, come l’ultima, in cui ha nevicato molto (a inizio giugno c’erano 4 metri di neve sul ghiacciaio), il caldo dell’estate è stato dirompente, tanto da consumare tutte la neve dell’inverno, che è il nutrimento del ghiacciaio, e da esporlo a una perdita storica, che abbiamo misurato in circa 1 metro e 70 di spessore in un anno».

Secondo Mercalli, si conferma «un trend drammatico, di regresso dei ghiacciai in tutte le Alpi, come effetto dell’aumento delle temperatura media globale, che riguarda l’Italia e tutto il mondo. Non dimentichiamo che nella zona alpina abbiamo avuto la terza estate più calda della storia, questo condanna i ghiacciai a una scomparsa entro l’ultimo decennio del secolo, quando le Alpi saranno senza ghiaccio. Il destino è segnato».

C’è grande interesse mediatico intorno a ciò che accade sul Monte Bianco. Che cosa ne pensa?

Sono ormai abituato a vedere l’interesse per questi fatti durare una settimana. Di emergenze glaciologiche in Italia ne abbiamo avute una quantità enorme negli ultimi trent’anni, e non è la prima volta che si segue un distacco annunciato. A Courmayeur già qualche anno fa ci fu l’episodio di un’altra chiusura di strada, e un’altra attesa. Oppure, ricordo il lago Effimero di Macugnaga: era il 2002, e la scoperta di questo nuovo lago, sotto una parete del Monte Rosa, con 3 milioni di metri cubi d’acqua rappresentò un serio problema di ordine pubblico, perché si era spezzato il ghiacciaio, c’era un rischio per l’abitato di Macugnaga (in provincia di Verbano, Piemonte). Le nostre coscienze si sono scosse, in quel momento? Nient’affatto: passati due mesi, con il lago prosciugato, tutto è passato. Manca il collegamento tra i problemi ambientali e climatici e la nostra economia: se vogliamo risolvere la fusione dei ghiacciai dobbiamo mettere in discussione il modello economico. Chi fa giornalismo, non può limitarsi alla cronaca. Se facciamo cronaca, tutti tornano al proprio quotidiano: se affronti il tema del dramma dei ghiacciai, non dovresti nemmeno accettare nella pagina a fianco la pubblicità del Suv o di un viaggio alle Maldive con l’aereo. Se non si smonta la narrazione intorno alla «crescita economica» com’è impostata, non smonteremo mai questo meccanismo, e ogni estate andremo a misurare un ghiacciaio sempre più corto, e anche Greta diventerà più anziana, e ce ne dimenticheremo come di quella ragazza che trent’anni fa, a 12 anni, nel 1992, aveva parlato alle Nazioni Unite come lei. A meno che i grandi leader non decidano finalmente con l’Accordo di Parigi, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo anno, di mettere una tassazione rilevante sull’uso delle energia fossili, una carbon tax in sostanza.

L’ultimo rapporto Ipcc sui ghiacciai segna un nuovo allarme.

Il rapporto sulla criosfera non fa altro che confermare su scala globale quello che ci siamo detti sul Ciardoney. I riflettori oggi sono puntati su Greonlandia e Antartide, perché quelle due masse di ghiaccio hanno il potere di far aumentare nel medio-lungo periodo il livello del mare di una decina di metri. Da sola, la Greonlandia ha 7 metri di mare «su di sè», ed oggi è una massa instabile. Non sappiamo come la rilascerà, non c’è ancora abbastanza ricerca scientifica per capire se sarà graduale, o se collasserà una parte intera. L’Ipcc spiega che se non si fa nulla i nostri oceani possono crescere attorno a un metro in più, entro questo secolo. Manca nella società, e alla politica, la lettura della complessità, la capacità di mettere in relazione tutto ciò che accade nell’ambiente, nella nostra quotidianità: dalla fusione dei ghiacciai passiamo alle terre che vengono sommerse, e si arriva ai migranti climatici, a coloro che scappano per una siccità, per un uragano, ma anche per la sommersione di terre vicino al livello del mare. Rispondo direttamente a questa complessità: trasferendomi in alta montagna, a 1.650, ho realizzato un cisterna per l’acqua piovana. Anche in montagna l’acqua cominciare a mancare. Vado su per fuggire il caldo, ma mi attrezzo per rispondere alle denunce dei rapporti Ipcc.