Boccaccio nella vita dei fratelli Taviani è una presenza che risale all’infanzia, nella loro amata Toscana ne hanno vissuto i luoghi, ascoltato la lingua, respirato lo spirito scanzonato nelle storie che le nonne narravano prima di dormire. A Boccaccio si erano poi già ispirati (in qualche modo) in un altro film, I fuorilegge del matrimonio continuando a pensare alle sue novelle. Ecco che infine ci sono arrivati in questo Meraviglioso Boccaccio che ci porta nella Firenze devastata dalla peste da cui fugge un gruppo di ragazzi.

 

 

Qualcuno tra loro si ama, tutti sentono nel dolore terribile di fronte alla morte che li circonda un richiamo fortissimo verso la vita. Ma non è facile anche in quei paesaggi della pittura trecentesca dimenticare l’orrore, il suono dei carretti che portano via gli appestati, i visi sfregiati delle persone uccise dal morbo, e così per farsi coraggio cominciano a raccontarsi delle storie. Parlano di dame e cavalieri, di tradimenti e crudeli punizioni, di perdite e di amcizia, ma soprattutto parlano d’amore, eterno, impossibile, inatteso, folgorante, sfacciato, scandaloso.

 
In questo doppio piano, la «cornice» i racconti (che poi è quello del libro) si dipana il film (sarà in sala il prossimo 26) che unisce un cast molto composito di attori più noti come Riccardo Scamarcio o Kim Rossi Stuart, e più giovani ma di talento come il ronconiano Fabrizio Falco o Rosabel Laurenti Sellers – ma tutti i giovani sono molto bravi.
I Taviani all’incontro stampa romano arrivano insieme come sempre, gentili, pacati, precisi ci tengono puntualizzare, ad esempio, che non risponderanno alle domande sui singoli attori perché loro li amano tutti e pensano che sono stati tutti straordinari.

 
Perché Boccaccio allora, oggi, e dopo la rivisitazione pasoliniana del Decameron nel ’71?
«Un’opera letteraria può offrire al cinema le sue storie. Le opere a cui ci ispiriamo sono un mezzo per parlare di noi, così Boccaccio che ci ha prestato le sue novelle e la sua inventiva. E le ha prestate a altri registi tra cui Pasolini». «Siamo toscani e dunque Boccaccio ce lo portiamo dentro da sempre. Ci abbiamo pensato spesso finché non abbiamo cominciato a vedere le cose orrende che le immagini ci mostrano ovunque del mondo, le file di uomini in tuta arancione guidati da altri uomini incappucciati pronti a sgozzarli che col loro sangue fanno rosso il mare. Le onde alte centinaia di metri da cui sono stati inghiottiti, qui vicino a noi, i migranti, In dati che dicono che in Italia il 40% delle persone non voterà perché c’è la crisi, il dolore e la sofferenza tra i giovani. Ecco è come se fosse tornata in forma diversa la peste con cui inizia il Decameron. Il nostro Boccaccio riguarda il presente».

 
Loro lo definiscono anche un film femminile. Spiegano: «Sono le ragazze che decidono di abbandonare la città, non vogliamo stare qui a fare la conta dei morti, dicono ai ragazzi. I maschi le seguono, la fantasia però è delle donne come l’idea di raccontare, di chiedere cioè aiuto all’arte per sopravvivere e per tenere insieme il tempo necessario quella loro piccola comunità».
La scelta delle novelle – che li hanno commossi e fatti ridere anche mentre erano sul set – ha assecondato soprattutto tre «pulsioni» che i due fratelli registi avevano in mente. La vicenda umana che doveva tenere insieme il passato e l’attualità, l’immagine dei giovani che non vogliono più vivere ma che sui ribellano a questo destino.

 

 

L’amore che spinge gli uomini, «l’amore che move sole e stelle». «Ci sono poi tanti spunti, l’umorismo di Boccaccio, quando abbiamo pensato a Calandrino che descrive come un babbeo, ci siamo però chiesti cosa avessimo fatto al suo posto. Cosa faremmo se potessimo essere invisibili?Delle cose onorevoli adesso ma pensando all’adolescenza anche delle cose terribili. Siamo tutti ’rei porconi’, come delle donne dice la badessa siamo tutte ree femmine»