Sfogliando il sontuoso album fotografico che Steve Schapiro e Lawrence Schiller hanno dedicato alla stagione hollywoodiana di Barbra (Taschen, pp. 336, euro 49,99), si vede subito che è tutto sbilanciato dalla parte della diva. Nel gigantismo del formato ventisette per trentasette i paginoni a colori dei titoli più importanti, da Funny Girl a È nata una stella, si alternano al bianco e nero del privato con il primo marito Elliott Gould e il figlio Jason, che se la ride sul seggiolone, e a foto di set. Neppure la cantante, coi suoi milioni di dischi che ne hanno fatto l’icona della musica pop, viene mai in primo piano. Il fatto è che il librone è costruito a partire dalle fotografie che i due noti fotoreporter le hanno scattato nel corso degli anni in cui Barbra Streisand sta dando la scalata a Hollywood. Hanno fotografato il mito in action, perdendo di vista l’aggressività con cui entra nel fotogramma armata della chutzpah, la tipica sfacciataggine ebraica.
La stessa scelta di interpretare Funny Bruce, la stella comica ebraica del varietà degli anni venti e trenta, in Funny Girl (William Wyler, 1968) le permette di far risuonare tra le quinte del palcoscenico il suo canto di sfida: “Is a nose with a deviation/Such a crime against the Nation?”. Certo, un naso un po’ troppo aquilino non è più un crimine in quella nazione e neppure nei film degli anni sessanta e settanta che vanno alla scoperta delle radici. Nel film d’esordio il successo dell’attrice coincide con la grinta della cantante, mentre in Hello, Dolly! (Gene Kelly, 1969) Walter Matthau le ruba la scena. Ma la cantante si prende la rivincita duettando con Louis Armstrong. Strepitoso l’incontro con la screwball in Ma papà ti manda sola? (Peter Bogdanovich, 1972), dove si rivela una commediante di scatenata vivacità pronta a lasciarsi travolgere nel ritmo vertiginoso delle gag e delle citazioni. Quando alla fine di Come eravamo (Sydney Pollack, 1973), Katie Morovsky, dopo aver dato un ultimo sguardo al suo ex, riprende a strillare i suoi slogan distribuendo i volantini con scritto “Boicotta la bomba”, come non ammettere che questa ragazza ebrea, comunista, rooseveltiana, rompiscatole, è forse il più bel personaggio che Barbra Streisand ha impersonato sullo schermo fino in quel momento, una che mette al primo posto gli ideali senza dimenticare la fragilità?
Il libro finisce sul più bello, lasciando fuori campo i tre film della regista e produttrice, a cui si deve il segno forte della sua presenza nel cinema. Nessun altro film la rappresenta meglio di Yentl (1983), che riprende con partecipe tenerezza il racconto di Isaac B. Singer per ricostruire la vita dello sperduto villaggio ebraico di inizio novecento dove la decisione della protagonista di studiare il Talmud fa esplodere la scandalosa trasgressione femminile in grado di mandare all’aria i codici della cultura maschile. Nel finale, mentre la nave sta raggiungendo l’America, prega il padre che non c’è di “guardarla volare”. Come in un dipinto di Chagall. Più che il mélo psicoanalitico di Il principe delle maree (1991), resta nella memoria L’amore ha due facce (1996), singolare conferma della sua sofisticata cinefilia che punta al modello alto del woman’s film anni quaranta. Citazione cult la scena in cui chiede a Lauren Bacall, la vecchia madre ancora bella: “Puoi dirmi, mamma, com’era? Puoi dirmi che cosa si prova a essere bella? Entrare in una stanza, e sapere che tutti ti guarderanno?”. Pausa, una lunga pausa, e poi la risposta: “Era meraviglioso”.