Salari intorno ai 500 euro al mese, il contratto non rinnovato ormai da quasi tre anni (33 mesi): non è semplice la vita degli 80 mila addetti della ristorazione collettiva – l’80% sono donne – che servono i pasti nelle mense delle scuole, delle carceri, degli ospedali o delle grandi e medie aziende.

Le imprese – associate nella Angem e nell’Alleanza delle cooperative – chiedono una riduzione netta e generalizzata dei costi, e a inizio dicembre hanno interrotto le trattative con i sindacati: e così Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil ieri hanno chiamato i lavoratori allo sciopero.

Daniela è una delegata Filcams Cgil della Camst, colosso della cooperazione con 15 mila dipendenti: le parliamo mentre è al presidio di Bologna, davanti alla sede di Legacoop. «La media settimanale delle addette è di 15 ore, sono quasi tutti part time obbligati, cioè non scelti liberamente dalla lavoratrice – spiega – Lo slogan del nostro sciopero è ’il piatto piange’ proprio perché a salari già inadeguati, tra i più bassi di tutto il mondo del lavoro, si è aggiunta l’impossibilità a rinnovare il contratto».

Alla Camst si aggiungono complicazioni anche per l’integrativo: «Ci vogliono tagliare tutto: la malattia, che non dovrà essere superiore a tre eventi l’anno. E poi dovremo pagarcela con i giorni di ferie o non retribuiti: tenendo conto che si va in pensione ormai a 67 anni, e che le addette alla mensa hanno diverse patologie ricorrenti, si può immaginare a che cosa andiamo incontro. Vogliono che riduciamo di un terzo i permessi, e ci offrono un aumento ridicolo. Da rimanere a bocca aperta, anche nella ’rossa’ Emilia».

Problemi che si riscontrano anche nella trattativa per il contratto nazionale, come spiega la segretaria della Filcams Cgil Elisa, Camellini: «Abbiamo visto le stesse posizioni datoriali riscontrate in altri tavoli – dice – Non si punta ad altro che a togliere diritti, aumentare unilateralmente la flessibilità ed erogare poca retribuzione».

Angem, uscendo dalla Fipe Confcommercio, ha creato un quarto tavolo del turismo insieme ad Alleanza cooperative (associa Legacoop, Confcooperative e Agc), che si aggiunge ai tre di Confcommercio, Confesercenti e Confindustria: una frammentazione che complica i negoziati, e che sicuramente non aumenta i soldi messi sul tavolo. I sindacati si sono attestati sulla richiesta di 86 euro, la parte datoriale ha risposto con 50.

Ma la trattativa si è arenata soprattutto sulla parte normativa, quella appunto che riguarda i diritti e l’organizzazione del lavoro che grossi gruppi come Compass, Elior e Sodexo (multinazionali dai quattromila ai 14 mila dipendenti nei loro rami italiani) dovrebbero assicurare ai propri addetti.

Uno dei punti più dibattuti, e su cui non si è trovato l’accordo, è la «clausola sociale»: i lavoratori di questo settore godono già della possibilità di poter trasmigrare da un’azienda all’altra quando cambia l’appalto, ma i sindacati avrebbero voluto estendere questa tutela a tutte le figure professionali (oggi alcune sono infatti escluse). Inoltre, vorrebbero fosse confermato l’obbligo di contrattare l’organizzazione del lavoro quando, per motivi oggettivi, si riduce il volume di una commessa: ma la risposta arrivata dalle imprese è stata «no», su entrambi i fronti.

C’è poi il disagio di tanti addetti – soprattutto la grandissima parte di quelli che lavorano nelle scuole, che sono quasi per la totalità donne – per orari troppo ridotti: «Il 30 per cento della platea del personale della refezione scolastica – spiega ancora la segretaria Filcams, Elisa Camellini – ha addirittura una media di sole 10 ore a settimana, per cui non arriva spesso a 300 euro al mese. Senza contare che nei mesi in cui gli istituti sono chiusi non c’è lavoro né retribuzione, e non si può accedere neanche alla disoccupazione».

L’aumento contrattuale, con condizioni simili, appare urgente ed essenziale, ma Angem e Alleanza cooperative per il momento offrono solo tagli: alla malattia, alle maggiorazioni per le ore supplementari, ai permessi, oltre all’obiettivo di gestire unilateralmente l’organizzazione degli orari e la flessibilità. E in più, come se tutto questo non bastasse, si aggiunge la frammentazione ai tavoli delle trattative.

«Gli imprenditori si dividono per cercare di togliere i diritti acquisiti, ma devono sapere che noi non ci fermeremo se non si siedono per discutere e realizzare il contratto – dice Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil – Devono smetterla, il settore va bene, serve un contratto, non togliere i diritti acquisiti».