A Roma ci sono circa 8mila senza fissa dimora: un terzo vive per strada, un terzo in alloggi impropri come baracche e capannoni abbandonati, un terzo in centri di accoglienza. «Fino a luglio 2020 venivano nelle nostre mense – racconta Augusto D’Angelo, responsabile servizi senza fissa dimora della comunità di Sant’Egidio – poi, a causa della pandemia, non è stato più possibile e ci siamo dovuti attrezzare con i pasti da portare via». Mentre il governo procede con le faq lasciando le mense aziendali nell’incertezza, la comunità di Sant’Egidio si è data regole e protocolli per non lasciare soli le persone in difficoltà nel mezzo del Covid.

«FINO ALL’ESTATE SCORSA – continua D’Angelo – avevamo applicato le regole del distanziamento: in un tavolo da 4 servivamo un solo commensale; in uno da 6 si sedevano in 2, in uno da 8 si accomodavano in 3 con i tempi del servizio che si allungavano. Poi però le condizioni epidemiologiche ci hanno fatto cambiare sistema, adesso si mettono in fila distanziati, si disinfettano le mani e ricevono un pasto caldo da portare via: primo, secondo, contorno, frutta e acqua. Ci chiedono quando potranno tornare a sedersi in mensa, un momento di convivialità importante». Importante non solo per la socialità ma anche perché è uno dei luoghi attraverso cui far conoscere l’hub vaccinale allestito dai volontari di Sant’Egidio presso l’ex ospedale San Gallicano, a Trastevere.

«ARRIVANO INDIRIZZATI dalle mense, dai centri di accoglienza, dalla scuola di italiano o il passaparola – spiega il medico Gianni Guidotti -. Sono stranieri in attesa di regolarizzazione e hanno un codice fiscale provvisorio oppure hanno il tesserino Stp (straniero temporaneamente presente) o sono Eni (europei non iscritti), categorie che non riescono a prenotare la vaccinazione». Si stimano in 700mila in totale gli stranieri provenienti da paesi extraeuropei non riconosciuti dalle piattaforme di prenotazione, a loro bisogna aggiungere gli homeless, gli italiani privi di documenti o senza accesso a internet.

IN ACCORDO CON L’ASL Roma 1 e la struttura commissariale, la comunità di Sant’Egidio ha organizzato un sistema di prenotazione autonomo. Il servizio procede con circa 340 dosi al giorno eseguite due giorni a settimana: «Li vacciniamo e poi li registriamo sull’anagrafe regionale – prosegue Guidotti -, diamo il certificato vaccinale all’interno di una confezione di plastica impermeabile per evitare che si rovini. Facciamo il Moderna o il Johnson&Johnson: c’è una squadra di medici che fa il triage e decide quale somministrare. Quando vanno via diamo loro la Tachipirina per eventuali effetti collaterali e un numero di telefono di emergenza h24 perché non hanno il medico di base. Non abbiamo mai avuto problemi ma è giusto tutelarli».

Molti sono stranieri ma ci sono anche italiani, immunizzarsi diventa fondamentale per cercare lavoro: «Li aiutiamo a scaricare il green pass – racconta D’Angelo – ma non sempre è possibile mettere tutte le tessere insieme. Anche i più refrattari sono corsi a vaccinarsi quando hanno capito che potevano». Per raggiungere quelli che comunque non andrebbero in un hub sono stati organizzati centri mobili, ad esempio alla stazione Tiburtina.

DURANTE IL LOCKDOWN molti hanno perso la rete che li aiutava a sopravvivere, chi aveva un lavoro informale o irregolare si è travato senza mezzi di sostentamento: «Abbiamo intensificato i nostri giri in strada e soprattutto abbiamo aumentato il servizio di pacchi alimentari, da 3 centri di distribuzione siamo saliti a 28 in meno di due mesi. In molti si sono offerti di fare la spesa anche per chi non poteva o magari era in isolamento a casa». Con la seconda estate in emergenza, i centri di accoglienza della comunità sono rimasti aperti e altri sono stati attrezzati in chiese, in scuole dismesse.

«Ci siamo accorti – racconta D’Angelo – che ci sono persone in strada che hanno un introito fisso, piccole pensioni, il reddito di cittadinanza. E ci sono alberghi rimasti senza turisti. Abbiamo cominciato con un albergatore amico e poi abbiamo allargato la rete: gli hotel hanno abbassato i prezzi, incassando comunque un reddito, e noi abbiamo tolto persone dalla strada coprendo una parte dei costi con le donazioni, 80 posti letto su 200 li abbiamo trovati così. Adesso che i turisti stanno tornando ci stiamo orientando verso il cohousing ma alcuni albergatori ci hanno promesso che terranno uno o due posti a prezzo calmierato. Lo abbiamo chiamato “il protocollo del buon samaritano”». Andiamo verso l’autunno: «Avremo “l’emergenza freddo” – conclude -. Le istituzioni si muovano per tempo visto che siamo ancora in pandemia».