610 persone sono morte in un giorno per Covid-19, cioè 70 più delle 24 ore precedenti. Tornano ad aumentare anche i nuovi casi individuati: sono state 4204 ieri, cioè quasi 400 più del giorno prima. Nel complesso, l’epidemia è costata la vita a 18279 persone e ne ha contagiate quasi 144 mila. L’aumento dei casi non si scarica sugli ospedali, perché diminuiscono sia i ricoverati non gravi (-86) che quelli in terapia intensiva. La percentuale di persone positive in isolamento domiciliare sale progressivamente e ora è pari al 67% del totale.

AI SALISCENDI DEI DATI forniti dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ormai siamo abituati e per capire la tendenza è bene guardare i numeri in prospettiva, settimana per settimana. Si scopre così che i decessi nell’ultima settimana sono stati 4364, contro i 5750 della settimana precedente (-25%). I nuovi casi negli ultimi sette giorni sono stati invece 28470, mentre nell’ultima settimana di marzo erano stati 34703 (-18%). La settimana del “picco” è stata la terza di marzo, quando i contagi erano stati 39504.

In Lombardia si è superata la soglia dei 10 mila morti, più o meno la stessa cifra della Corea del Sud ma su una popolazione cinque volte più piccola. In Lombardia si contano ancora la metà dei morti di tutta Italia (300) e un terzo dei nuovi casi (1388). Ma finalmente l’annunciato potenziamento della rete diagnostica sembra realtà: nella regione sono stati effettuati in un solo giorno 9396 tamponi, un numero raggiunto finora solo in Veneto (ma con un quarto dei casi della Lombardia). Il tanto elogiato modello Veneto ora mostra però qualche crepa: nell’ultima settimana in Veneto i casi sono aumentati del 28% contro il 19% della Lombardia, e al di sopra anche della media nazionale del 25%. Tra le regioni del Nord è andata ancora peggio al Piemonte, con un aumento settimanale dei casi del 40% e nuovi focolai scoperti in colpevole ritardo nelle case di riposo.

ALLA QUOTIDIANA conferenza stampa al fianco di Borrelli ha partecipato Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del Comitato tecnico scientifico che affianca il governo. Locatelli ha comunicato che è in partenza uno studio sierologico (cioè basato sulla ricerca degli anticorpi al Coronavirus) su tutto il territorio nazionale per stimare il vero numero di persone contagiate dall’epidemia. Secondo molti epidemiologi, è plausibile che i dati della Protezione Civile di 144 mila contagiati debba essere moltiplicato per 10 o anche più. Questo dato cambierà radicalmente anche la stima di mortalità del Coronavirus, dunque sarà un’informazione decisiva per valutare i rischi futuri. Lo studio «sarà costruito tenendo in considerazione il genere, 6 fasce d’età, un numero limitato di profili lavorativi e le differenze regionali». «I parrucchieri – ha ricordato Locatelli – sono più a rischio «rispetto a chi si occupa della cura dei boschi».

IL TEST SIEROLOGICO non sostituirà i tamponi, che rimarranno il principale strumento di diagnosi anche per la fase 2. A questo proposito, il medico non ha perso occasione per avvertire governo e popolazione che accelerare il ritorno alla vita normale in questo momento è un rischio: «Tutto quello che riguarderà la riaccensione delle attività produttive non essenziali andrà fatto con molta cautela per evitare una seconda ondata» di contagi, ha detto.

Sarebbe sbagliato, secondo il medico, permettere ad alcune regioni di allentare le misure prima delle altre, in base a un criterio già espresso nei giorni scorsi dagli epidemiologi. «In una regione con alta incidenza epidemica il rischio contagio è più elevato», ha spiegato Locatelli. «Però in una regione dove il tasso di incidenza è più basso è ipotizzabile che sia più alto il numero di soggetti che non hanno avuto produzione anticorpale, quindi una maggior proporzione di soggetti suscettibili a infettarsi». Il Comitato Tecnico Scientifico «ha valutato l’impatto possibile della riapertura delle scuole», dice Locatelli, che però ritiene prematuro ipotizzare scelte per lo scenario di settembre. La speranza è che la questione dell’epidemia a settembre non si ponga più. Per ora il problema si pone eccome, soprattutto tra gli operatori sanitari.

È ARRIVATO A 100 il numero di medici morti nell’epidemia. «La maggior parte erano medici di medicina generale, mandati a combattere a mani nude contro il virus, senza gli adeguati dispositivi di protezione, ma anche pneumologi, medici penitenziari, medici legali», dice Filippo Anelli, segretario della Federazione degli Ordini dei medici. L’atto di accusa dei medici nei confronti della politica, e soprattutto nei confronti dell’assessore alla sanità Lombarda Giulio Gallera, continua: «Le lacune e le omissioni organizzative sono difficilmente comprensibili e ancor più difficilmente giustificabili».