Finito il lockdown, durante il quale il numero dei reati era calato drasticamente insieme al numero di detenuti in carcere, il mondo della criminalità si è rimesso in moto, ma senza ancora raggiungere i livelli del 2019 (oggi rispetto ad allora i reati commessi sono il 12,6% in meno). Eppure le carceri sono ancora e sempre stracolme, oltre il limite legale dettato dal nostro ordinamento, dalla Costituzione e dai trattati internazionali (a fine marzo 2022 il sovraffollamento medio ufficiale – dunque sottostimato – si attestava al 107,4% con picchi a Varese, Brescia e Bergamo).

E a leggere il diciottesimo Rapporto annuale dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione, si scopre che mentre il numero degli ingressi in carcere dalla libertà è in netto calo («da 92.800 del 2008 a 35.280 del 2020, per poi risalire per la prima volta in molti anni e fermarsi a 36.539 nel 2021») grazie alle misure adottate dal 2012 in poi per contrastare il cosiddetto fenomeno delle «porte girevoli», il numero dei detenuti invece torna ad aumentare (54.609 detenuti a fine marzo contro i 53.364 del 2020). «Il dato è sorprendente», sottolinea Antigone. Ma la fotografia scattata dall’associazione che dal 1998 ad oggi ha compiuto oltre due mila visite nei penitenziari italiani, ne spiega bene i motivi.

AL NETTO DEL FATTO che il 31,1% dei detenuti sono in custodia cautelare e solo il 69,6% dei presenti in carcere a fine 2021 aveva ricevuto una condanna in via definitiva (mentre dieci anni fa erano il 56,9%), dai dati si desume che il carcere non riesce a reinserire nella società il reo e a sottrarlo al mondo criminale. Il tasso di recidiva infatti cresce (a fine 2021 solo il 38% era alla prima carcerazione mentre il 18% c’era già stato in precedenza 5 o più volte) e aumenta il numero medio di reati per detenuto (2,37 attuali mentre «al 31 dicembre 2008 il numero di reati per detenuto era più basso di 1,97»). «I reati più presenti – si legge nel dossier – sono quelli contro il patrimonio (31 mila), quelli contro la persona (23 mila) e le violazioni della normativa sulla droga (19 mila). Seguono a una distanza significativa le violazioni della normativa sulle armi (9.249), reati contro la pubblica amministrazione (8.685), di stampo mafioso ex 416bis (7.274) e contro l’amministrazione della giustizia (6.471)». Le pene comminate sono sempre più lunghe però (il 29% condannato a 10 o più anni contro il 21% nel 2011), tanto che, nonostante il calo continuo degli omicidi in Italia, il numero di ergastolani è cresciuto di 1.402 unità in trent’anni.

DAL RAPPORTO emergono poi anche altri dati che ci regalano uno spaccato eloquente della società italiana. «I detenuti con meno di 40 anni di età, che sono stati a lungo maggioranza tra la popolazione detenuta, dal 2015 sono minoranza. La loro percentuale al 31 dicembre 2021 si fermava al 45%. Gli over 40 erano dunque il 55%, gli over 60 il 9,5% (mentre 10 anni prima non arrivavano nemmeno al 5%)».

Importante è il tasso di scolarizzazione: «Secondo i dati Istat, al 2020 in Italia nella popolazione con più di 15 anni le persone in possesso di una laurea o di un titolo post laurea rappresentavano il 15,3% sul totale. In carcere al 31 dicembre 2021 i laureati rappresentavano il 2,1% sul totale dei ristretti maggiorenni per i quali il titolo di studio era stato rilevato – sottolinea Antigone – . Alla stessa data il 2,9% dei detenuti risultava analfabeta, il 2.2% era privo di un titolo di studio e il 17,5% era in possesso della sola licenza elementare. In Italia i dati Istat già citati riportano un 15,9% della popolazione over 15 anni senza titolo di studio o con la sola licenza elementare. Il 57,6% dei detenuti per i quali al 31 dicembre 2021 era stato rilevato il titolo di studio era in possesso della licenza media inferiore a fronte di un dato sulla popolazione in Italia in generale del 32,2% di over 15 anni con la terza media». E solo un terzo dei detenuti lavora.

PARLIAMO soprattutto di uomini, perché le donne detenute sono solo il 4,2% del totale, anche se subiscono la pena suppletiva del sovraffollamento maschile. Con loro, ancora oggi, nelle carceri italiane sono reclusi 19 bambini sotto i tre anni. Nelle sezioni femminili ci sono anche due donne transgender.

Le donne e gli uomini reclusi sono soprattutto italiani, con un tasso di detenzione degli stranieri che è passato dallo 0,71% del 2008 allo 0,33% del 2021 e a fine marzo si è attestato allo 0,31%. Malgrado si sia «assistito a una crescita di presenze di stranieri residenti in Italia, che al primo gennaio 2021 ha superato quota 5 milioni e centomila persone». Eppure, sottolinea Antigone, «ci sono regioni e carceri del nord con più della metà di detenuti stranieri. A Cremona sono il 71,8%, a Padova il 67,5%, a Firenze Sollicciano il 66,9% e a Milano San Vittore il 61,3%. Ingiustificatamente troppi anche in Sardegna a causa di trasferimenti». E sono loro ad essere maggiormente colpiti dalla custodia cautelare (il 17% sul totale dei detenuti stranieri contro il 15,6% del totale dei detenuti, italiani e stranieri insieme). Secondo i calcoli di Antigone, «i detenuti stranieri sono generalmente più giovani di quelli italiani».

INFINE, i dati più sconcertanti: il disagio psichico dilagante, la crescita degli internati e dei malati-rei in lista d’attesa, l’aumento di casi di autolesionismo (20 ogni 100 detenuti), e il numero elevato di suicidi (21 dall’inizio dell’anno, 57 nel 2021). Un numero spaventoso, quest’ultimo, se si pensa che «secondo l’Oms, il tasso di suicidi in Italia nel 2019 era pari a 0,67 casi ogni 10 mila persone. Nello stesso anno, il tasso di suicidi in carcere era pari a 8,7 ogni 10 mila detenuti: 13 volte più elevato rispetto alla popolazione libera».