Era il luglio del 2010 quando l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani per il trattamento disumano riservato al signor Soulemanovic che viveva in meno di tre metri quadri nel carcere romano di Rebibbia. A quel tempo i detenuti avevano raggiunto il numero record di 68.258 unità. Il tasso di sovraffollamento raggiungeva i vertici nella classifica europea. Un primato vergognoso. Alla prima sentenza ne seguì una seconda questa volta ben più significativa per gli effetti avuti sul sistema penitenziario italiano. Nel caso Torreggiani la Corte di Strasburgo non si limitò a condannare l’Italia che costringeva i ricorrenti a vivere in spazi minimi e insani ma chiese al nostro Paese di mettere in moto un meccanismo di riforme per uscire dalla melma in cui era finito. Questa volta l’Italia non ha messo la testa sotto la sabbia né ha fatto come il governo Cameron che ha minacciato di uscire dal sistema di controllo giurisdizionale europeo nel nome della propria sovranità punitiva. L’Italia ha cambiato alcune norme in materia di arresto obbligatorio, custodia cautelare, misure alternative alla detenzione. In parte è stata abrogata la legge Cirielli sulla recidiva. È stata introdotta la messa alla prova. Il processo di deflazione è stato aiutato dalla Corte Costituzionale che ha abrogato buona parte della legge Fini-Giovanardi sulle droghe.
Così al 30 luglio del 2015 i detenuti sono scesi di ben 16 mila unità rispetto a cinque anni prima. Oggi infatti sono poco più di 52 mila. L’Italia aveva anche il triste record di percentuali enormi di detenuti in carcere in custodia cautelare. Erano il 43,4% nel 2010. Oggi sono il 33,8% del totale della popolazione detenuta. Il dato però continua a essere sopra la media europea. Tutti gli operatori della giustizia devono abituarsi all’idea che la custodia cautelare non deve rincorrere i tempi infiniti del processo penale. Anche gli stranieri sono in calo. Sono oggi il 32,6% del totale. Erano il 36,58% nel 2010 prima che la Corte di giustizia de l’Aja ci imponesse di disapplicare il reato di inottemperanza all’obbligo di espulsione del questore. Per questa fattispecie di reato presente nella famigerata Bossi-Fini entravano in carcere circa 15 mila detenuti l’anno. Ancora troppo pochi sono invece i detenuti in misura alternativa. Non c’è stata un’inversione di tendenza. Sono poco più di 30 mila, una parte dei quali in detenzione domiciliare ovvero la misura che più somiglia a quella carceraria e meno lontana da progetti di recupero sociale. Si consideri inoltre che ben 19.130 detenuti devono scontare meno di tre anni di pena e potrebbero dunque accedere a una misura alternativa alla detenzione; invece sono in carcere, sia a causa di preclusioni di legge che per attitudine di parte della magistratura di sorveglianza. Troppi e in crescita gli ergastolani che hanno raggiunto il numero di 1.603 alla faccia di chi dice che in Italia la pena dell’ergastolo non esiste. 18.312 sono i detenuti reclusi per avere commesso reati in violazione della legge sulle droghe. Alcune migliaia di tossicodipendenti sono a loro volta dentro per reati contro il patrimonio commessi per procurarsi la droga. Tutto si risolverebbe con la legalizzazione.
Se questo è il quadro dei numeri qual è la conseguenza sulla vita concreta delle persone in carcere? Lo stare più larghi sicuramente ha migliorato la qualità della vita in alcuni istituti, però non dappertutto e non per tutti. Ci sono carceri dove ancora si sta male, molto male. Carceri dove ancora si vive nell’ozio forzato, dove i parenti sono costretti a fare la fila dalle 4 di mattina per andare a colloquio, dove manca l’attenzione minima per i nuovi giunti ovvero i soggetti più a rischio di suicidio, dove si abusa dell’isolamento, dove regna l’arbitrio, dove la salute è totalmente negata, dove manca l’acqua d’estate e l’acqua calda d’inverno. Il calo dei numeri deve essere l’occasione per spendere bene i tanti soldi che il nostro Stato mette a disposizione del sistema penitenziario. L’Italia è il paese tra quelli della Ue che in percentuale ha più operatori di polizia penitenziaria. Ma è anche il Paese con un numero insufficiente di operatori sociali oggi quanto meno essenziali per far decollare il sistema della probation che non può vivere di sole norme. Sono in corso gli Stati generali sulla pena, un’intuizione ministeriale importante e innovativa per discutere di riforme dell’ordinamento penitenziario, proprio ora che la Commissione giustizia ha approvato il disegno di legge delega del governo. Antigone ha presentato un lungo elenco di proposte, ben venti tutte tese a cambiare la filosofia della pena ispirandola a principi quali la dignità umana e la responsabilità. Proposte che si chiudono con la previsione delle liste di attesa, ovvero la previsione di un divieto di carcerazione qualora manchi in carcere lo spazio vitale. La dignità umana vale di più del potere di punire dello Stato. Rispetto a questo quadro è in controtendenza culturale e politica la norma anch’essa approvata in commissione Giustizia della Camera che prevede un aumento dei minimi edittali per taluni reati contro il patrimonio. Ciò di cui il sistema ha bisogno è invece una spinta verso un diritto penale minimo, che come ha spiegato al mondo intero Luigi Ferrajoli, minimizzi l’impatto violento dei reati e delle pene. Barack Obama ha preannunciato una riforma della giustizia penale nel segno di una maggiore mitezza visti i 2 milioni di detenuti presenti nelle carceri statunitensi. Ha voluto dare all’opinione pubblica e alle forze dell’ordine un segnale di tranquillizzazione sociale e non di invece di durezza e intolleranza. Ha graziato 46 detenuti condannati per reati non di sangue. Ha visitato un carcere, primo presidente Usa a farlo. Dunque il governo italiano ha finanche l’avallo Usa per abbandonare le politiche pericolose, disumane e oramai superate di tolleranza zero.
*presidente di Antigone