Seconda giornata degli stati generali dell’editoria a Roma.

Dopo le agenzie di stampa martedì scorso, ieri è stato il turno degli edicolanti e dei distributori. Una trentina di persone in sala, il consulente di Crimi Pierluca Santoro e il capo dipartimento Ferruccio Sepe a coordinare i lavori.

Anche stavolta, come al debutto, il sottosegretario 5 Stelle introduce brevemente e se ne va per altri impegni istituzionali, affidando il dibattito ai collaboratori e alla diretta facebook sulla sua pagina personale. In platea, tutti i sindacati degli edicolanti, la Fieg, i distributori dell’Anadis e altri soggetti del magmatico settore della distribuzione e vendita in edicola.

Il quadro, anche qui, è tutt’altro che roseo. Vendite dimezzate in dieci anni (nonostante il digitale), fatturato del settore diminuito di ben 4 miliardi su 7, almeno 12mila edicole cancellate dalla faccia del paese. L’allarme è più che rosso.

Il governo è corso ai ripari con un credito di imposta da 2mila euro per punto vendita (30 milioni stanziati in 2 anni) ma è chiaro che bisogna cambiare passo. A fondo e rapidamente. Anche perché, ancora oggi in epoca di smartphone dilaganti, l’80% dei ricavi degli editori dipende dal cartaceo.

Santoro nella sua relazione individua alcuni punti critici:

  • la proprietà dei dati di vendita e diffusione, oggi frammentata in mille soggetti, poco informatizzata e quando lo è viaggiante su piattaforme che non comunicano tra loro;
  • la lettura dei giornali in bar e negozi e ripartizione dei ricavi;
  • servizi da affiancare alla vendita editoriale e margini;
  • nuove aree di business;
  • ottimizzazione rese e diffusione;
  • formazione.

A che servono dunque le edicole? Le risposte della platea si sono concentrate su un adeguamento dei compensi per i giornalai (oggi fermi a circa il 19% lordo), bonus per ristrutturare i chioschi, ritiro della (disastrosa) liberalizzazione dei punti vendita, politiche commerciali degli editori e dei distributori più corrette.

La parola, ora, passerà al governo.