Ai tempi del coronavirus è difficile soffermarsi sull’attualità di Israele. Tre elezioni si sono susseguite dalla fine del 2018 e un problematico governo di «unità nazionale» che ha 190 giorni di vita ci accompagna nuovamente ai seggi agli inizi del 2021. Nel quadro dei paesi chiamati «democratici», è ancora più difficile spiegare che in pratica tutto viene condizionato dall’instancabile sforzo del primo ministro Benjamin Netanyahu di ripararsi da tre processi per corruzione, i quali probabilmente gli apriranno le porte del carcere.

Dopo il tanto sbandierato «successo» del governo durante la prima ondata della pandemia, in poche settimane è arrivato il disastro che ha portato a un secondo lockdown. L’aumento dei disoccupati, il disastro economico, la corruzione hanno scatenato proteste veementi contro il premier. E il secondo confinamento, anziché spazzare via le proteste settimanali davanti alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme, ne ha determinato l’allargamento a tutto il paese.

Nei week-end, Netanyahu e famiglia si ritirano nella loro casa a Cesarea. I manifestanti sono arrivati anche là. La polizia li ha dispersi ma la famiglia Farkash che vive nei pressi ha offerto riparo ad alcuni di loro nella soffitta di casa. Allora una ventina di attivisti del Likud ha protestato contro i Farkash, che nel 2006 nella guerra del Libano persero uno dei figli, pilota di elicottero. Insulti e maledizioni tipo «che Dio uccida anche l’altro figlio».

Non è mancato lo scontro fisico con la madre del soldato defunto. Un grande scandalo: i caduti in guerra sono sacri in Israele e fanno parte dei miti ufficiali – come se chiedere il sacrificio della vita «per la patria» non fosse un atto politico. Lo stesso Netanyahu si è visto costretto a condannare le imprecazioni contro i Farkash. «Ho perso mio fratello ad Entebbe; il lutto per i caduti va rispettato», ma non si è soffermato su chi in questi giorni fomenta l’odio e l’aggressività. Già decine di anni fa, in non poche manifestazioni si sentiva dire: «Peccato che Hitler non abbia eliminato questa categoria», ovvero gli attivisti di sinistra.

Anche la sconsiderata decisione del premier di affidare la guida dello Yad Vashem (Ente nazionale per la memoria della Shoah) a Efi Eytam, un generale e ministro estremista, ha suscitato molte proteste e ci si chiede per quale ragione sia stata presa.
Yad Vashem nasce con una legge nel 1953 per rendere il ricordo dell’Olocausto un elemento centrale della lotta contro il retaggio nazista e razzista.

Negli ultimi anni molto si è discusso intorno all’Olocausto. Non pochi studenti in tutto il mondo ormai approfondiscono più in generale gli aspetti del genocidio, mentre Yad Vashem continua a concentrarsi sull’Olocausto. Solo i «nostri» sono presi in considerazione. Gli altri, armeni, aborigeni e così via, non fanno parte della storia. Il ruolo di Yad Vashem nella manipolazione ufficiale dell’Olocausto allo scopo di neutralizzare qualunque critica a Israele è oggetto di discussioni molto serie.

Le visite ufficiali in Israele contemplavano in genere quasi come obbligo la sosta a Yad Vashem, convertitosi via via in una manipolazione che segnala la continuità e la necessità di appoggiare Israele e combattere l’antisemitismo. Il salto alla criminalizzazione anche delle critiche giuste contro la politica israeliana di fronte ai palestinesi è stato facile: oggi anche la critica allo Stato di Israele è antisemitismo.

La campagna Bds? Antisemitismo. I diritti dei palestinesi? Antisemitismo. In diverse occasioni ci sono state proteste – benché non massicce – contro l’invito a Yad Vashem rivolto per esempio all’ex premier del Sudafrica John Vorster, ex nazista, al presidente filippino Rodrigo Duterte, a quello brasiliano Jair Bolsonaro, a quello ungherese Viktor Orbán e a diversi altri.

E perché opporsi a un generale famoso come Efi Eytam? Anni fa, commemorando un soldato caduto nella guerra del 2006, disse che era necessario espellere i palestinesi dalla Cisgiordania. E gli arabi di Israele sarebbero una quinta colonna, per questo da estromettere dal Parlamento e dalla politica. E poi naturalmente la minaccia dell’Iran va fronteggiata e questo richiederà un cambiamento nell’etica bellica. Espulsioni. Traditori. Memoria. Dunque, solo i non ebrei devono serbare il ricordo dell’olocausto?

Peccato davvero che Hitler non abbia liquidato quelli di sinistra e gli altri traditori? Ma certo, fare paragoni non è consentito. Il vicecomandante dell’esercito Yair Golan è stato duramente criticato e ha finito la sua carriera per aver criticato il ripetersi in Israele di situazioni e fatti avvenuti in Europa in passato.

È proibito fare paragoni? Certamente Netanyahu non è Hitler, ma occorre analizzare bene i processi e utilizzare la storia per riuscire ad affrontare meglio il presente. L’attacco a Yad Vashem deriva dal fallimento degli stupidi argomenti della propaganda di Israele contro il Bds e contro qualunque forma di critica alla politica dello Stato. Arrivare a bollare come antisemita qualunque critica contro la situazione criminale nei Territori occupati potrebbe portare alla disintegrazione di Yad Vashem che pure, malgrado le critiche, ha conservato un certo valore. Lo perderà se Netanyahu davvero nominerà alla sua guida un razzista che difende crimini di guerra e atti antidemocratici.