Cambia la forma, ma non la sostanza: le modifiche al memorandum Italia-Libia sono il tentativo di mettere a tacere chi ne chiede la sospensione immediata, poiché è impossibile garantire la piena tutela dei diritti umani di rifugiati e migranti in un paese dilaniato da un conflitto civile, in cui il numero di sfollati aumenta (150mila in più dallo scorso aprile, quando è iniziato lo scontro) e dove abusi e violenza sono sistematici.

Solo pochi giorni fa 81 persone, tra le quali 18 donne e 4 bambini, sono stati intercettate dalla Guardia costiera libica e riportate indietro, a Tripoli, città che ospita il centro di raccolta dal quale l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i Rifugiati (Unhcr) ha deciso a fine gennaio di ritirare i propri operatori, perché in un’area troppo esposta alla guerra. L’Unhcr, che continua
a domandare la chiusura di tutte le strutture di detenzione, non è stato interpellato dal governo sulla versione del memorandum che riporta le modifiche proposte.

D’altra parte l’Italia è sorda anche di fronte ai richiami del Consiglio d’Europa, che poco prima del rinnovo dell’accordo, avvenuto il 2 febbraio, chiedeva di «sospendere con urgenza le attività di cooperazione con la guardia costiera libica almeno fino a quando quest’ultima non possa assicurare il rispetto dei diritti umani». Condizione, quest’ultima, che non è di certo stata raggiunta.

Il risultato è che oggi ci ritroviamo con una nuova bozza di memorandum. Nuova si fa per dire,perché l’Italia continuerà a supportare la Guardia costiera libica affinché riconduca rifugiati e migranti nel Paese dal quale tentano di fuggire e dove possono divenire vittime di torture, stupri, omicidi o della violenza generalizzata che imperversa nel Paese. Basta che non arrivino qui, siamo disposti a continuare a fornire denaro e mezzi perché vada avanti così.

Cosa cambia, allora? Cambia, per esempio, che la Libia si impegna a favorire un «sistema di strutture posto sotto il controllo del ministero della Giustizia libico e basato sullo Stato di diritto, nel rispetto dei principi e fini della Convenzione di Ginevra del 1951». Stato di diritto e Libia? Un ossimoro nello scenario attuale. Senza contare che la Libia non ha mai ratificato il trattato internazionale sullo status di rifugiato firmato nella città svizzera. E ancora, la Libia si impegna a «migliorare, anche mediante fondi resi disponibili da parte italiana e nell’ottica del progressivo superamento del sistema dei centri di accoglienza, le condizioni dei migranti trattenuti nei centri di accoglienza ufficiali». Chi non farebbe affidamento, per mettere fine agli orrori di quelli che sono descritti dai testimoni come lager, sulla dichiarazione d’intento delle autorità di un Paese dove è in corso una guerra civile?

Oggi, poi, in Libia i rifugiati (parliamo solo delle persone registrate come tali presso l’Unhcr) sono circa 47.000; di questi 2.800 si trovano nei centri. Tutti gli altri sono fuori, in strada, a volte nei magazzini dove le milizie concentrano le persone, le sequestrano, le tengono prigioniere. Dove con maggiore difficoltà le organizzazioni internazionali riescono a fornire supporto. La minoranza che finisce nei centri di detenzione, i quali almeno sulla carta, sono diretti dal governo libico di Al Serraj, va incontro al rischio di subire violazioni anche gravissime dei propri di diritti, allo stesso modo; la maggioranza, che non entra in queste strutture, fronteggia pericoli ancora più numerosi.

Chi è nero è utilizzato come scudo umano, per esempio, costretto dai gruppi armati a combattere in prima linea. Non possiamo permetterci di dimenticare che tutto ciò sta accadendo, dentro e fuori i centri di detenzione: sappiamo e ne siamo complici.
Interessante che in questo nuovo memorandum l’immigrazione non sia più definita clandestina e illegale, bensì irregolare. Una piccola modifica che, però, forse, è stata fatta per inviare un segnale: questo accordo è cosa diversa dal precedente, cambia l’approccio, la visione.

No, non funziona così: un uso diverso del linguaggio, affiancato da tante e poco solide promesse, non sono sufficienti a fare la differenza. La forma cambia, ma la gente continua a morire. Sui diritti umani non ci si accontenta, l’unica vera differenza può farla solo la sospensione.

*** Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, Segretario e Tesoriera di Radicali Italiani