Rinaldo Melucci, sindaco di Taranto, ennesimo incidente -per fortuna senza conseguenze- all’altoforno dell’ex Ilva. Lei parla ormai apertamente di «scempio». Perché?
Perché ormai c’è una ricorrenza di questi incidenti senza fine che non ci sorprendono più. Ora che lo stato è tornato a far parte del capitale dell’azienda è superata anche la questione morale, qui siamo ad una responsabilità diretta davanti alla legge. La completa disaffezione del management di Arcelor Mittal è sotto gli occhi di tutti. Dal 2017 ad oggi la loro è stata un’operazione speculativa di tipo esclusivamente finanziario che ha lasciato l’Italia in ginocchio dal punto di vista della produzione di acciaio – accaparrandosi quote di mercato dai concorrenti, congelate in attesa di una ripresa – e l’intera comunità tarantina con lutti continui sia fra la popolazione – a partire dal quartiere Tamburi – che fra i lavoratori. Dal 2017 a oggi la situazione è molto peggiorata e ormai non ci fidiamo più della Morselli, qualunque cosa dica.

Il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci (Pd)

Per questo lei chiede l’intervento del governo a partire dal presidente Draghi. Ma in realtà il governo deve ancora versare i 400 milioni per diventare padrone a metà dell’acciaieria.
Il governo attende l’esito del consiglio di stato, ma gli accordi sono chiari: lo stato è azionista quanto meno alla pari già adesso. Per ora l’interlocuzione con il go verno è stata cordiale, informale ancorché insoddisfacente con il ministro Giorgetti. Noi crediamo che nostro interlocutore debba essere anche il ministro per la Transizione ecologica Cingolani ma chiediamo che sia lo stesso Draghi a dover intervenire. E allo stesso tempo ho fatto appello al mio amico Roberto Speranza perché la questione è prima di tutto sanitaria ed è la salute a dover orientare ogni decisione perché diversamente stiamo scherzando. Se il tavolo di confronto con il governo è solo sindacale – e solo con i sindacati nazionali, perché quelli locali hanno capito che “esuberi zero” non è possibilie – non va bene perché certe ipocrisie devono essere superate. Abbiamo bisogno di un tavolo con tutti gli attori istituzionali a partire dalla nostra comunità per gemmare un accordo di programma, l’unico strumento per una soluzione definitiva e duratura.

In verità anche i sindacati sono insoddisfatti dai rapporti con Giorgetti. Anche loro lamentano di essere lasciati fuori da ogni discussione.
Guardi, la verità è che ogni ragionamento sul futuro dell’acciaieria deve partire dall’evitare di raccontare balle: l’idea di “esuberi zero” che continuano a propugnare i sindacati è impossibile. Perché la produzione sia sostenibile serve riconfigurare l’intera acciaieria chiudendo l’area a caldo. Dopo di ché è chiaro che nessuno va lasciato indietro e quindi anch’io sono il primo a dire che servono ammortizzatori sociali per tutti. Serve tanta strada e tante risorse – che il Recovery plan può dare – ma è l’unico modo per uscire dal ricatto fra lavoro e ambiente che ora è la vertenza Ilva.

Lei prima accennava al pronunciamento del Consiglio di stato del 13 maggio sulla sua ordinanza di spegnimento dell’area a caldo. Che cosa si aspetta?
Se ne sentono tante, spero che non siano veritiere. Mi auguro che il consiglio di stato sia autonomo e che legga le 60 pagine del Tar di Lecce che sono molto innovative e partono da un principio basilare: ci deve essere un limite nel contemperare lavoro e salute, e quel limite Arcelor Mittal lo ha superato da tempo. O Arcelor Mittal comincia seriamente a fare manutenzione, bonificare e riconvertire la produzione, oppure se ne vada perché come tarantini siamo stanchi di questo limbo in cui siamo da anni.

All’inizio del governo Conte Uno il ministro dell’economia in pectore del M5s Lorenzo Fioramenti in un’intervista al manifesto parlò di «riconversione» e che «nessun lavoratore sarà lasciato indietro». Poi cos’è successo?
Abbiamo avuto tanti ministri e se all’inizio abbiamo creduto che Mittal avrebbe investito in questa direzione, poi abbiamo subito capito che ci prendeva in giro. La riconversione è necessaria, nessun piano B. Da un governo che si professa ambientalista come quello Draghi mi aspetto una riconversione radicale. Per produrre a idrogeno servono 10 anni ma se non succederà, sappia il governo che la comunità tarantina è pronta a un lotta dura, anche giudiziaria fino a Strasburgo.

Quanti saranno gli esuberi? Sono socialmente sostenibili?
Non sono un tecnico ma puntando a produrre a regime 6 milioni di tonnellate con forni elettrici e idrogeno si può arrivare a 6 mila addetti con 3-5 mila esuberi. Conti però che già oggi con Mittal abbiamo l’indotto locale desertificato – 6 mila addetti – e i 2 mila rimasti nell’amministrazione straordinaria Ilva che sono in cassa integrazione a zero ore da due anni.

Sono quelli che dovrebbero fare le bonifiche…
Ma non le stanno facendo. E qua si ritorna alla responsabilità dello stato. Con il ciclo delle bonifiche in ottica di economia circolare i posti di lavoro da creare sono moltissimi.

L’anno prossimo si ricandiderà sindaco col Pd? Come sono i rapporti con Emiliano e Letta?
Il Pd per fortuna è molto cambiato. Con Emliano dopo alcune incomprensioni, condividiamo l’idea di una riconversione verso l’idrogeno. Dai 15 decreti Ilva di Renzi, già con Zingaretti siamo passati all’idea di fare di Taranto il paradigma del Green new deal. Non sarà un problema mettersi intorno ad un tavolo puntando sui valori e non sulle clientele politiche.