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Meloni di «ultradestra» alla guerra con Salvini

Meloni ai Global Citizen AwardMeloni ai Global Citizen Award

Di ritorno dalla trasferta Usa Giorgia Meloni ha colto l’occasione offerta dalla trasferta oltre Atlantico per ricordare a tutti che lei è di destra che più di destra non si può. Atlantista, la più filo-ucraina […]

Pubblicato un giorno faEdizione del 26 settembre 2024

Giorgia Meloni ha colto l’occasione offerta dalla trasferta oltre Atlantico per ricordare a tutti che lei è di destra che più di destra non si può. Atlantista, la più filo-ucraina del bigoncio, fiera avversaria dell’ex modello Putin derubricato a dittatore nemico dei valori occidentali ma non per questo meno appassionatamente schierata sul lato estremo della destra europea, anzi occidentale.

Inutile spulciare i discorsi al Palazzo di Vetro: sono esercitazioni svolte con diligenza e padronanza della lingua nelle quali la premier italiana non è andata mai oltre la ripetizione di posizioni note, sia sulla contestata riforma del Consiglio di sicurezza Onu che sul magnificato piano Mattei. Il messaggio è stato veicolato da altri segnali: la richiesta di farsi consegnare il premio del filo democratico Atlantic Council dal trumpianissimo Musk (corteggiato anche per motivi di terragno ordine economico), il colloquio con Zelensky però non a casa Biden per evitare incontri con l’ospite già alto protettore. Il solo discorso significativo Meloni lo ha pronunciato nella premiazione ed è stato un discorso calibrato appunto per confermare la purezza cristallina del suo dna di destra.

Non si tratta tanto di piazzarsi a metà strada tra i proverbiali due forni, pronta ad adoperare l’uno o l’altro a seconda delle circostanze quali si definiranno il 6 novembre prossimo. C’è anche questo, naturalmente, ma la fondata preoccupazione della premier italiana è di più ampio respiro. Fra i trumpiani sa di non essere amata: è «Giorgia la Falsa», Phoney Meloni, ben lieta di farsi vezzeggiare dall’odiato Biden che i trumpiani Maga non hanno mai smesso di considerare un usurpatore. Se dovesse tornare Trump alla Casa Bianca, Meloni si ritroverebbe a dover trattare con un presidente degli Usa che ha per referente numero uno non lei ma il suo vicepremier Salvini, quello che Orbán considera «un eroe» e si sa che per Trump in Europa più degni di rispetto dell’ungherese non ce ne sono.

Urge recuperare i rapporti e i buoni uffici di Musk, che del trumpismo è la vera anima nera, sono impareggiabili, senza contare l’opportunità per le casse e per l’attualmente stentata marcia dell’high-tech italiana che gli investimenti del tycoon implicherebbero. Ma non c’è solo Trump e di riconquistare credibilità e ascolti a destra la leader italiana avrebbe bisogno anche qualora alla Casa Bianca si insediasse Kamala Harris, con la quale comunque i rapporti dovrebbero essere garantiti e cementati dallo schieramento sul fronte che conta più di ogni altro, quello ucraino.

Il voto del Brandeburgo è stato un campanello d’allarme anche per la presidente di FdI. Quello austriaco di domenica potrebbe diventare una sirena che suona a distesa. Il vento di destra che soffia sull’Europa è già una tempesta, promette di passare presto a uragano.

Ma non è la destra di Giorgia Meloni ed è anzi una destra che la guarda con le stesse lenti molte offuscate dei trumpiani, in questo caso per il prolungato gioco di sponda con Ursula von der Leyen.

La leader della destra italiana, almeno sul fronte della politica estera, non vive alla giornata e proprio questa è stata in questi due anni la sua forza. Ha una visione precisa e una strategia per realizzarla: vuole essere la leader di una destra radicale ed estrema ma anche realista e pragmatica, capace dunque di dialogare e allearsi per conquistare egemonia assoluta con la destra centrista moderata. Non può farcela se lei stessa non gode del credito necessario presso l’intera destra europea, inclusa quella oggi all’offensiva. Rischia anzi di scivolare una volta per tutte nell’area di influenza dei Popolari.

Ma trasformarsi in un cespuglio del Ppe, da usarsi alla bisogna come faceva la vecchia Dc con il Msi prima di Almirante e in parte anche dopo, è quanto di più distante dalle intenzioni e dalle ambizioni dell’underdog di palazzo Chigi.

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