Giorgia Meloni si presenta al vertice di maggioranza con il cronometro in mano. Quel che più la preoccupa sono i tempi: il rischio di esercizio provvisorio c’è davvero e per il governo della destra sarebbe il viatico peggiore. Dunque la presidente martella esortando i convenuti, i sei capigruppo di maggioranza e i capidelegazione al governo Salvini e Casellati in sostituzione di Tajani, a fare presto, anzi prestissimo. Serve una tolda di comando e inevitabilmente spunta l’immancabile task force, una cabina di regia che potrebbe essere composta dagli stessi partecipanti al vertice di ieri, i succitati più il ministro dell’Economia Giorgetti e il sottosegretario Fazzolari, fresco di clamorosa gaffe nei confronti di Bankitalia.

GLI EMENDAMENTI arrivati ieri si contano a migliaia: quelli delle opposizioni sono circa 3500 e qualcosina, in cambio di un atteggiamento non troppo ostile appunto sui tempi, il governo concederà. La maggioranza ne ha presentati 500, ovviamente troppi ma saranno ridotti a meno di 200 domenica dalla neonata cabina. Poi i ministeri si occuperanno dei giudizi di ammissibilità. Dal 15 la manovra sarà in commissione alla Camera per approdare poi in aula, previe immancabili nottate di tregenda nelle 48 ore precedenti, il 20. Il Senato non toccherà palla. Si limiterà a ratificare il testo in arrivo da Montecitorio e non si capisce bene perché si sia perso tanto tempo con il referendum sulla riforma Renzi visto che il monocameralismo è stato poi introdotto di fatto, praticando l’obiettivo, nonostante la sconfitta di quella riforma.

SUI FONDI per finanziare le modifiche che la Camera apporterà non c’è discussione: sono 400 milioni e non un soldo di più. Spicci. La Lega vorrebbe che fossero investiti tutti su un unico fronte ma è una proposta tanto per dire: figurarsi se i partiti di maggioranza sono disposti a sacrificare i loro pur contenuti obiettivi. L’esiguo gettone sarà spalmato, i problema è come. Prima di passare alla ripartizione però sia Giorgia che Giorgetti ci tengono a respingere tutte e ciascuna delle critiche mosse alla manovra, in particolare quelle rivolte alla possibilità di non accettare il pagamento elettronico sotto i 60 euro. «Sono polemiche strumentali e indietro non si torna», ruggisce la presidente. Subito dopo il passetto indietro lo annuncia lei stessa: qualche modifica «senza snaturare la norma», per fare contenta Bankitalia e soprattutto Bruxelles. Quanto il governo intenda arretrare non si sa ancora, tra i 30 e i 40 euro come nuovo tetto.

FORZA ITALIA, la formazione più battagliera, insiste per le pensioni minime: l’aumento già stabilito non basta, bisogna arrivare almeno a 600 euro. La presidente si arrende ma per finta: se ne può parlare ma solo per gli over 75 e solo per alcune categorie. Ci sarà da scialare. Non può mancare l’eterno pomo della discordia: il superbonus. Fazzolari, due giorni fa, aveva escluso proroghe. La premier è più malleabile. Il termine per la comunicazione di inizio lavori in tempo per accedere al rimborso del 110% potrebbe slittare dal 25 novembre al 31 dicembre. 1Ci penserà un emendamento dello stesso Mef!, anticipa sicura la capogruppo azzurra Ronzulli. Resta da sciogliere il nodo più aggrovigliato, la cessione dei crediti. Tutti i governanti promettono che sarà fatto ma la formula magica al momento ancora latita. Niente da fare invece per l’emendamento Lotito al dl Aiuti, quello che vorrebbe spalmare in cinque anni i debiti della grandi squadre di calcio. Meloni è contraria, Giorgetti pure.

C’È UN CAVALLO di battaglia anche per i centristi di Maurizio Lupi: l’estensione ai padri del mese in più di congedo parentale fissato dalla manovra per le mamme. Concesso. Sarà modificata anche la norma su Opzione Donna, rivedendo l’assurdo e incostituzionale passaggio che fa dipendere l’età pensionabile dal numero dei figli. Restano in sospeso alcuni capitoli: Fi vorrebbe potenziare la detassazione per i nuovi assunti sotto i 36 anni, la Lega portare da mille a 1500 le cartelle esattoriali da rottamare. Solo su un punto nessuno obietta: lo smantellamento del reddito di cittadinanza. Di quel milioncino di persone che finirà al tappeto non importa niente a nessuno.