«Quando apriamo gli occhi, si prospetta ogni giorno un futuro buio e vago. Per sopravvivere dobbiamo lottare. La vita non significa nulla per noi. Trascorriamo il tempo con lo stomaco vuoto e il corpo esausto. Le cose non sono mai andate bene in Iran. Siamo sempre stati dalla parte sbagliata e potrà andare solo peggio». È con queste parole, intrise di pessimismo, che inizia la conversazione con il musicista trentenne Mehdi Rajabian, esponente di punta della scena musicale underground dell’Iran.

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Ora è in libertà vigilata, la magistratura iraniana gli ha vietato di produrre musica e quindi rischia di essere arrestato per il suo nuovo album Middle Eastern.

Un album in qualche misura legato all’esperienza in carcere?

Sì, l’idea mi è venuta quando condividevo la cella con dei pirati somali, passavano il tempo a cantare musica tradizionale e ho capito che la musica è un linguaggio comune. Così, ho dato avvio al progetto Middle Eastern con un centinaio di altri artisti in dodici paesi della regione tra cui Siria, Yemen, Giordania, Libano e Iraq. Un brano è stato registrato durante un bombardamento aereo, un altro da un rifugiato che scappa con una barca. Ogni brano è accompagnato da un dipinto dell’artista curda Zehra Dogan che ha trascorso quasi tre anni in carcere per aver prodotto arte che ha offeso le autorità turche. La nostra musica di qualità si abbina al messaggio di pace, libertà, diritti umani. È un no alla guerra. I miei artisti non si sono mai incontrati, ma ascoltando i loro brani ci si rende conto che trasmettono la stessa vibrazione, perché soffriamo della medesima malattia.

In che senso?

L’essere umano è sordo a quello che gli succede attorno. Solo un lavoro artistico originale può attirare la sua attenzione. Può sembrare strano, ma qui in Iran la gente fa chilometri per vedere un uomo condannato a morte: quale regista potrebbe simulare una scena simile suscitando gli stessi sentimenti? Lo stesso vale per la musica: quale artista potrebbe trasmettere le stesse emozioni di un rifugiato in lacrime tra due confini? In Medio Oriente abbiamo provato a seguire diversi messaggi e filosofie. Nell’album Middle Eastern sono due le parole chiave: «no» e «perché». Tutto quello che succede qui si riconduce a queste due parole.

Veniamo a lei. Quando sono iniziati i suoi problemi con la giustizia?

Sono stato arrestato due volte. La mia colpa è aver prodotto un album sulle guerre in cui l’Iran era coinvolto. Conflitti assurdi, penso a quello contro l’Iraq, che ritengo un errore storico. Ho preso questa posizione usando la musica. Ero a capo della società Barg Music che promuoveva cantanti donne a cui era proibito esibirsi in Iran davanti a un pubblico maschile. Nel momento in cui sono stato arrestato, i pasdaran hanno confiscato tutti gli album e le registrazioni e hanno chiuso la casa di produzione, dopo sette anni di attività.

Quando è successo?

La prima volta nel 2013. Sono stato in isolamento per tre mesi, bendato, senza sapere dove fossi. Quando è stata pagata la cauzione, sono uscito dal carcere. Dopodiché un tribunale ha dedicato tre minuti al mio processo e mi ha condannato a sei anni. Sono stato in carcere dal 2015 al 2017, ora sono in libertà vigilata. Sono stato multato, i miei brani sono stati vietati e sono stato interdetto dal produrre musica per il resto dei miei giorni.

Che cos’è la musica per lei?

È un insieme di colori. Percepisco la musica come un’arma, per me è importante avere sempre un messaggio, non capisco come altri possano lavorare senza trasmettere nulla. Mi interessa più il messaggio artistico che non l’arte in sé.

Quando ha iniziato a suonare?

Non ricordo con esattezza, la musica è diventata cosa seria durante l’adolescenza. Quando l’arte diventa cosa seria non riesci più a trarne piacere, ti può persino distruggere. È stata la mia immaginazione a portarmi a intraprendere lo studio del setar, uno strumento tradizionale persiano. Suono anche il pianoforte. La mia formazione è nell’ambito della musica tradizionale persiana con melodie che si mescolano alla poesia. Detto questo, mi piace anche la musica classica occidentale: è un linguaggio comune a tutte le nazioni.

Dopo le proteste di questi mesi, dopo l’assassinio del generale Soleimani, cosa cambia?

Nulla. Sono sempre in una piccola stanza, la porta chiusa.