«Dal Rei sono esclusi l’ottanta per cento dei poveri assoluti. Il reddito di cittadinanza del M5s non è certo una forma di reddito garantito presente invece in tutta Europa ma è un passo avanti». Luca Santini è presidente e co-fondatore del Basic Income Network Italia e ha pubblicato il volume «Reddito di base, tutto il mondo ne parla».

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Santini, ieri Boeri ha parlato del Rei come di un successo e ha invitato a non sostituirlo: «Il reddito minimo in Italia c’è». Voi che lo proponete dal 2013 dovreste festeggiare…
Il Rei non è una forma di reddito garantito. E se la misura avrà successo dipenderà da quanti beneficiari usciranno dalla condizione di povertà assoluta. A prescindere da questo ci sono se Boeri parla di 900mila persone, significa che l’ottanta per cento dei poveri assoluti non è stata toccata da questa misura. Una percentuale che cresce ancora di più se si considera la platea che necessità di una redistribuzione del reddito.

Platea a cui invece si rivolge la vostra proposta di reddito garantito.
Insieme a 170 fra associazioni, partiti e comitati abbiamo lanciato una proposta di legge popolare per chiedere una misura che si rivolge non soltanto ai poveri – la parole non presente in tutto il testo – ma anche alle persone precariamente occupate. Le condizioni di acceso sono una bassa redditualità a livello individuale (anche se ci sono implicazioni con quello familiare) e assenza di patrimonio. L’assegno mensile è di 600 euro e non ha durata: si esaurisce al momento dell’uscita dalla situazione di povertà.

In questo modo non si favorisce l’assistenzialismo e il lavoro nero?
Il lavoro nero in Italia è un problema atavico. Un reddito garantito non lo favorirebbe perché oggi i precari sono costretti ad accettare il lavoro nero e precario proprio per la loro situazione di povertà.

Quanto costerebbe?
La misura che abbiamo ipotizzato può essere sostitutiva di altre misure di welfare e quindi abbiamo ipotizzato un costo di 20 miliardi.

Boeri invece sostiene che il reddito di cittadinanza del M5s, una misura più contratta della vostra, costerebbe 35-38 miliardi…
La stima che fece recentemente l’Istat in parlamento è molto più bassa. La discrepanza è francamente inspiegabile, specie se riguarda due enti pubblici.

Lei nel 2013 illustrò la proposta al M5s. Come valuta la loro evoluzione sul tema?
Li incontrai quando portammo le firme alla camera. Eravamo ad inizio legislatura, molti si fecero foto con noi – anche Marianna Madia del Pd – e fummo ricevuti da Laura Boldrini. Il M5s ascoltò la nostra proposta e poi ne elaborò un’altra: sentirli parlare ora di reddito di cittadinanza come argine ai fannulloni o di obbligo di otto ore di volontariato a settimana è un boomerang rispetto alla proposta iniziale. Detto questo, dall’opposizione sono comunque riusciti a fare entrare il tema del reddito nel dibattito politico.

Quindi lei considera comunque il reddito di cittadinanza previsto nel programma elettorale di Di Maio un passo avanti, non è vero?
Lo sarebbe certamente perché è urgente mettersi in cammino su una misura di reddito in linea con quelle già presenti in tutta Europa. Una volta che sarà presentato un testo di riferimento poi si potranno proporre accorgimenti per migliorare la proposta e renderla più vicina ad un reddito garantito e meno condizionato.

A quale paese europeo bisognerebbe guardare? Negli ultimi mesi in Finlandia è in corso una sperimentazione di reddito garantito non condizionato.
L’esperimento finlandese è limitato – 2mila casi – ma importante perché dimostra che la mancanza di condizioni – possono rifiutare lavori, non devono frequentare corsi di formazione – produce risultati migliori in termini di attivazione delle persone. Per il resto ogni paese ha sue specificità: in Irlanda ad esempio c’è un reddito per chi decide di lasciare il lavoro e tornare a studiare; in Olanda c’è un reddito rivolto agli artisti che lavorano pochi giorni l’anno ma per mesi devono provare gli spettacoli e spesso non se lo possono permettere.

Qualche proposta specifica per l’Italia?
Per rispondere agli omicidi di massa delle donne si potrebbe prevedere che chi denuncia violenze abbia un reddito di reinserimento sociale.