Appare davvero difficile trovare una sintesi e dare conto del dibattito interno al Movimento 5 Stelle sul voto di fiducia che ha blindato il decreto Sicurezza bis. Non è facile trovare un senso, ad esempio, alla coesistenza tra la posizione del senatore grillino Matteo Mantero, che si schiera contro la minaccia leghista «al diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso, inasprendo in maniera incongrua le pene per i manifestanti rischiando di sdoganare fatti come quelli avvenuti alla scuola Diaz di Genova» e quella della sua collega Silvia Vono, che difende a spada tratta il decreto e protesta contro il «disconoscimento pressoché immune da sanzioni dell’autorità delle nostre forze dell’ordine» e invoca con toni più salviniani di Salvini «adeguate misure di contrasto ad atti di illecita arroganza travestita da buonismo».

L’unica spiegazione possibile si trova nel fatto che il M5S, i suoi eletti e la sua dirigenza sono ostaggi della sopravvivenza di questo governo. Non è un mistero che molti senatori grillini dichiarino in privato da tempo, con parole non dissimili da quelle di ieri di Mantero e pochissimi altri, che il decreto Sicurezza bis di Salvini sia soltanto una «porcata». Ci si aspettava che agissero di conseguenza, promettevano una pioggia di emendamenti e minacciavano la guerriglia parlamentare, che proprio a Palazzo Madama avrebbe dovuto intensificarsi soprattutto dopo la disfatta sul fronte Tav. Poi è successo esattamente il contrario. Salvini ha alzato l’asticella in vista delle mozioni contrapposte sulla grande opera valsusina, Luigi Di Maio ha continuato a emendare da destra il decreto, suggerendo il sequestro delle navi delle Ong che salvano i migranti, e il gruppo grillino ha fatto l’ennesima immersione nel pragmatismo governativo.

Il senatore No Tav Alberto Airola arriva persino a citare il socialista Rino Formica dicendo «con un certo groppo nel petto» che siccome la politica è «sangue e merda», non ci si può permettere di far cadere il governo gialloverde, abbassando la testa di fronte all’iniziativa della componente leghista della maggioranza: «Il decreto non è l’Anticristo – spiega Airola – ma una manifestazione di forza del nostro contraente, dal quale non possiamo permetterci di dividerci». Il terrore degli eletti grillini è che la conta sul decreto possa dimostrare che esiste una maggioranza alternativa, costruita grazie all’ingresso di Fratelli d’Italia in maggioranza al posto di una parte dei grillini. «Non possiamo dividerci definitivamente», dicono i senatori del M5S. Il che implica che la divisione potrebbe essere già in atto ma che molto si nasconde proprio dietro l’avverbio «definitivamente».

Il M5S si mostra come un monolite ma rischia di scindersi, seppure non nel breve periodo. Non si confrontano una destra e una sinistra in senso classico, ma a una linea disposta a tutto pur di restare al governo si contrappone un’area fatta di tante anime che, per motivi diversi, vogliono che i 5 Stelle riconquistino l’autonomia. La bomba non è esplosa oggi, forse non esploderà neanche domani ma l’innesco potrebbe essere azionato dal momento in cui Di Maio si è messo nell’angolo, ha dichiarato che non esiste alternativa a questo governo, si è consegnato a Salvini e alle sue misure emergenziali. Virginia La Mura ed Elena Fattori, che aveva anche votato le eccezioni di costituzionalità al decreto insieme a Pd e Leu, resistono e denunciano l’incompatibilità di questo testo con i diritti umani. Gli altri vanno avanti, non si sa fino a quando, lungo la linea scelta da Di Maio.