L’assalto a Capitol Hill era impensabile. The darkest hour è costata cinque morti e decine di feriti e di arresti. Trump è rimasto convinto fino all’ultimo di avere il diritto di capovolgere l’esito del voto popolare e di rimanere in carica. Nonostante quasi 60 giudici, inclusa la Corte Suprema il 12 dicembre, gli abbiano variamente detto no. E solo in queste ore – ci informa la stampa – l’amministrazione uscente finalmente chiede a circa 4000 funzionari di nomina politica di offrire le dimissioni in vista dell’avvicendamento. Secondo prassi, andava fatto dopo le urne in tempi ben più brevi.

Trump è stato pericolosamente vicino a un golpe. Nancy Pelosi punta a un impeachment per istigazione all’insurrezione, e intanto chiede ai vertici militari di tenere lontano dalle armi nucleari un presidente fuori controllo. In ogni caso, è tecnicamente possibile, ma del tutto improbabile, che per via di impeachment o con il XXV Emendamento – che il vice-presidente Pence si rifiuta però di attivare – ci siano i tempi per sfrattare dalla Casa Bianca un inquilino che già sappiamo non si dimetterà prima del 20 gennaio. Il conto potrebbe invece venirgli dopo, dalla giustizia penale. Per alcuni, starebbe pensando a darsi una grazia preventiva. Un’ultima violenza alla Costituzione e alla democrazia.

Il mantra di Biden – contrario allo sfratto anticipato – è riunificare, sanare le ferite. Ma sarà possibile? Trump è il prodotto ultimo di una lunga evoluzione del Grand Old Party, che ha virato nettamente a destra. Per molti, la strategia di Trump dopo il 3 novembre 2020 punta a una ri-candidatura nel 2024. Una parte degli oltre 70 milioni che lo hanno votato lo abbandonerà dopo Capitol Hill. Ma molti vorranno ancora credere alle sue false accuse di brogli e furto di voti.

A ben vedere, l’intero sistema politico statunitense si è radicalizzato, riflettendo la società. Le diseguaglianze sono cresciute esponenzialmente, tra ricchezze di pochi, povertà e precarietà di molti. La progressiva proletarizzazione della classe media ha inaridito il sogno americano e l’ascensore sociale che tra generazioni apriva a quella successiva le porte per una vita migliore. La componente bianca un tempo dominante tra non molti anni sarà scavalcata dalla somma delle minoranze. Non a caso, la vice-presidente Kamala Harris ha un padre giamaicano, e una madre originaria dell’India. Mentre la Georgia elegge per la prima volta nella storia un senatore afroamericano.

Si aggiunge una politica in cui è cruciale la rete, tanto che Trump reagisce con durezza alla chiusura dei suoi profili Twitter e Facebook. In tale contesto radicalmente cambiato, i modelli istituzionali un tempo serventi dell’unità diventano strumenti di divisione. In primis, l’investitura popolare diretta dei capi degli esecutivi. L’elezione non si combatte più sul centro e tagliando le estreme, ma al contrario galvanizzandole e scommettendo sulla contrapposizione, indicando agli esclusi un nemico da combattere, e raccogliendone la rabbia con il miraggio di una rivalsa. Trump ha saputo bene recitare il nuovo copione. La vittoria di Biden è venuta, piuttosto, dall’impatto della pandemia e dai gravi errori nel contrastarla.

Due lezioni. La prima è che ogni democrazia ha oggi una quota di trumpismo, che una crisi Covid gestita male potrebbe accrescere. La destra italiana ha commentato Capitol Hill tacendo su Trump. E certo ha sbagliato Palazzo Chigi nel fare lo stesso, mentre la Merkel e persino Boris Johnson – chiaro esemplare di trumpismo autoctono – avevano parole dure sulle responsabilità di Trump. La seconda lezione è che la forma di governo parlamentare si mostra più adatta ad affrontare in chiave di inclusione e di eguaglianza le società divise e conflittuali che l’attuale fase storica ci propone. Nella Borsa delle istituzioni, è meglio oggi investire sul Parlamento rappresentativo piuttosto che sul governo decisionista, o peggio ancora sull’uomo solo al comando. Chi deve intendere, intenda.

Probabilmente per qualcuno tutti i guai derivano dal bizantinismo dell’elezione presidenziale Usa. No. Anche conoscendo il vincitore il giorno stesso del voto popolare, il paese si sarebbe comunque spaccato. E poi, dopo Capitol Hill ci piace la possibilità che un nostro capo di governo sia cacciato ad horas con un voto di sfiducia. Non ci auguriamo che accada. Ma che sia possibile ci tranquillizza.