Per la prima volta, un autore indonesiano è ospite al Festivaletteratura di Mantova. Il giovane Eka Kurniawan, il più famoso scrittore indonesiano del momento, presenta il suo primo romanzo scritto quindici anni fa, in italiano: La bellezza è una ferita (Marsilio, pp. 496, euro 20, traduzione di Norman Gobetti), storia improbabile di una donna sfortunata ma bellissima destinata a fare la prostituta che vive, muore e resuscita tra mille vicissitudini, in un’Indonesia poco convenzionale e, soprattutto, poco nota.

Dewi Ayu, la protagonista che abita nel villaggio immaginario di Halimunda a Giava, esprime il desiderio che la sua quarta figlia non venga perseguitata da una bellezza come la sua e quella delle altre tre figlie, ma che piuttosto sia brutta. Ironicamente, le darà il nome Cantik, che significa appunto bellezza (il titolo originale è Cantik itu luka). Il romanzo pubblicato nel 2002, pochi anni dopo la caduta di Suharto, è una saga dove i personaggi vivono paradossalmente una vita che va dal periodo coloniale alla fine del governo di Suharto circondati da elementi mitici, fantastici, scabrosi, reali e dove vari stili si intrecciano tra di loro, il grottesco e l’ironico, il serio e il faceto. La violenza sessuale, fisica, psicologica sembra essere dovunque, offrendoci un’immagine sconvolgente e surreale di un paese che, nonostante sia il più importante dell’Asean con i suoi 250 milioni di abitanti, è quasi sconosciuto in Italia dal punto di vista letterario.

Pochissime sono le opere indonesiane tradotte da noi e La bellezza è una ferita va a colmare un vuoto che né la nomina dell’Indonesia quale ospite d’onore alla fiera di Francoforte nel 2015, né la presenza di un insegnamento di Lingua e letteratura indonesiana da più di un cinquantennio all’Università di Napoli L’Orientale sono riusciti a riempire. L’editore Marsilio, noto per la sua politica culturale di pubblicare dalle lingue originali, presenta il romanzo in occasione di Festivaletteratura (oggi, ore 17,30, presso Palazzo d’Arco Kurniawan converserà con Patrizio Roversi) dalla versione inglese e con una copertina che propone un’immagine cliché di una bellezza femminile (che sembra in realtà giapponese), lontana dagli intenti dell’autore. «Non esistono stereotipi di donne asiatiche che diano un’immagine esotica dell’Indonesia – afferma Kurniawan – Ho sempre evitato questi cliché. Per le edizioni all’estero, non posso più di tanto intervenire e lascio che siano gli editori a ’interpretare’».

Nei suoi romanzi – anche in «La bellezza è una ferita» – stupri e altre nefandezze umane sono molto comuni. I suoi libri sono mai stati banditi o divenuti oggetto di protesta in un paese come l’Indonesia che è in maggioranza musulmana e che, negli ultimi anni, ha visto fenomeni di intolleranza morale e religiosa?
All’inizio, il mio romanzo è stato respinto, ma non per motivi etici. Non ero un autore noto e la casa editrice non era abituata a pubblicare storie dove elementi di varie tradizioni convergessero, più religioni fossero fonti di ispirazione, in cui il realismo spesso cedesse il posto al surrealismo e la vicenda venisse inserita in una prospettiva non convenzionale. Ma devo riconoscere che non sono mai stato oggetto di polemiche, almeno non in forma ufficiale. È positivo, ma non rispecchia la situazione generale della letteratura e dell’arte indonesiana. Oltretutto, i miei libri non sono e non saranno mai rappresentativi della produzione indonesiana tout court. Ci sono così tante tradizioni, generi, ideologie che io sono solo una goccia che si perde nelle tante onde di una letteratura nutrita da generazioni diverse e da regioni culturali dal carattere prismatico.

Forse non ha subito censure perché nei suoi romanzi lei mescola spesso realismo e fantasia. O perché spesso personaggi e fatti narrati non seguono una logica razionale?

Esistono libri banditi al giorno d’oggi? I libri di Pramoedya, un tempo vietati, ora sono regolarmente in vendita nelle grandi catene librarie in Indonesia. La settimana scorsa ho acquistato la traduzione del libro di Bakunin su Stato e Anarchia. Ma ciò non vuol certo dire che che la libertà di espressione in Indonesia sia totale. Ci sono ancora forti pressioni da parte del pubblico su film e rappresentazioni teatrali. Se da una parte i libri sembrano essere al sicuro,  è bene specificare che da un altro punto di vista la situazione è peggiorata. Probabilmente perché ci sono sempre meno lettori. I gruppi radicali fanno pressione su incontri di intellettuali che discutono di argomenti tabù, come il comunismo, oppure che riguardano la religione. Se vedessero un libro di Bakunin o di Friederich Engels non farebbero una piega. Ma sanno davvero chi sono? Sono convinto che molti di loro non ne abbiano idea.

Molta letteratura indonesiana è stata  tradotta in inglese, tedesco (soprattutto dopo la presenza del paese a Francoforte) francese, olandese. Eppure fa ancora fatica a emergere sulla scena internazionale…
La situazione non è così facile e nemmeno la risposta alla domanda. Cosa si conosce della letteratura della Thailandia, Malaysia, Bangladesh, Brunei, Vietnam? Ci sono tante tradizioni letterarie che non appaiono nelle mappe mondiali e l’Indonesia, seppure riguardi un paese ben più grande, è tra queste. Le ragioni sono da rintracciare nella produzione indonesiana stessa. Quanto è grande la nostra interazione con le letterature mondiali? Quante persone al mondo conoscono la nostra lingua e le tradizioni letterarie? Quanti traduttori sono capaci di intervenire sull’indonesiano? Io scrivo solo ed esclusivamente nella mia lingua, l’indonesiano: mi permette di esprimere al massimo i miei pensieri e la mia fantasia. La versione italiana di La bellezza è ferita nasce però da quella inglese. Sarebbe stato meglio tradurre dall’originale, ma quel che conta è che al pubblico arrivi un prodotto finale eccellente. Se l’editore ha ritenuto che questa fosse la strada per farlo, ciò va al di là delle mie decisioni.

Nonostante il ruolo determinante del governo indonesiano con un programma di supporto alla traduzione, solo tre romanzi indonesiani sono stati pubblicati dal 2015 a oggi, «L’uomo tigre» di Eka Kurniawan, «La danza della terra» di Oka Rusmini e «Ritorno a casa» di Leila Chudori. «La bellezza è una ferita» è il quarto. È d’accordo con queste «scelte»?
Sì, certo. È compito del governo sostenere la traduzione in lingue straniere, come è pure suo dovere cercare di promuovere e sostenere altri campi oltre a quelli tradizionali – economico, relazioni internazionali, arti e soprattutto letteratura. È qualcosa che invece viene dimenticato. Questo non vuol dire assolutamente che la letteratura dipenda dal governo.

Quali altre opere letterarie dovrebbero essere tradotte in modo che il pubblico italiano abbia un’immagine più realistica della letteratura del suo paese?

Oltre Pramoedya, ci sono Budi Dharma, Mochtar Lubis, Rendra, Chairil, Seno Gumira Ajidarma, Nh. Dini, ecc. Ma non basta, non c’è una ricetta, la letteratura indonesiana non può essere racchiusa in un «canone» soltanto. Penso, ad esempio, a scrittori di racconti di cappa e spada come Asmaraman, S. Kho Ping Hoo e S. H. Mintardja. Oppure autori di romanzi d’amore, come Mira W. o Marga T. È quasi impossibile dare un’immagine reale e globale della letteratura indonesiana in un paese straniero. D’altronde, un indonesiano medio conosce solo nomi come Italo Calvino o Umberto Eco che certo non esauriscono la letteratura italiana.

 Hanno paragonato i suoi romanzi a quelli di Pramoedya Ananta Toer. Cosa ne pensa?
Credo che in Indonesia non molti, anzi direi pochissimi ritengano vera questa affermazione. I lettori che conoscono Pramoedya e le mie opere sanno che siamo molto diversi. Non nascondo certamente che la sua influenza nella mia creatività e produzione letteraria sia stata enorme, anche se non saprei spiegare in che modo. Pramoedya resta comunque uno dei miei autori preferiti.

Una delle ossessioni di Pramoedya era riscrivere la storia dell’Indonesia da una sua prospettiva critica. Anche lei è spinto dallo stesso desiderio?
Non esattamente. La mia ossessione è raccontare come gli indonesiani – costantemente e cocciutamente – tentino di stabilire un rapporto tra l’individuo e la società. Come gli avvenimenti sociali di grande portata abbiano un impatto rilevante sulla vita delle persone e, al contrario, come singoli individui contribuiscano nel loro piccolo alle tensioni sociali. A volte, per fare ciò, guardo alla storia (avviene per esempio in La bellezza è una ferita) oppure alla semplicità della vita di una famiglia e del suo ambiente (in L’uomo tigre).

Qual è il suo punto di vista sull’emergenza di un Islam conservatore in Indonesia ben lontano da quello moderato e pluriculturale, tradizionalmente nella storia del paese?
Non è un fenomeno recente. Sin dalla proclamazione della nazione indonesiana nel 1945 l’Islam conservatore ha fatto il suo ingresso sulla scena politica, da quando si è aperto il dibattito su quali fossero i cinque principi del Pancasila (l’ideologia politica dell’Indonesia) sino alle rivolte per la formazione di uno stato islamico a Jawa occidentale, a Aceh e Sulawesi meridionale da parte della coalizione del Darul Islam e dell’esercito islamico nazionale, ovviamente sedate. L’Islam conservatore che vediamo oggi non è nato dal nulla, le sue tracce possono essere identificate in un passato non troppo lontano. Poi, in una nazione che ha deciso di seguire la strada della democrazia (soprattutto dopo la caduta di Suharto), nessuno ha potuto impedire che si formassero delle tendenze radicali.

Nei suoi romanzi, sono presenti forze soprannaturali e irrazionali, e si ha anche la sensazione che lei prenda in giro i suoi lettori: è così?
Sì, sono naturalmente influenzato dai racconti della tradizione popolare con cui sono cresciuto. E credo che prendere in giro gli altri, ma soprattutto se stessi, è sempre il modo migliore per sciogliere le situazioni di tensione. Nei romanzi come nella realtà.