Avrebbe rischiato di affacciarsi su una Heldenplatz del tutto differente il professor Robert, protagonista dello scandalo teatrale di Thomas Bernhard del ’88 che porta il nome della piazza cuore della Vienna imperiale, se solo non fosse intervenuta la guerra a bloccare quel progetto che Hans Dustmann propose a Hitler nel 1942.
A questa e ad altre visioni urbanistiche per la Vienna nazista è dedicata una mostra che rimarrà aperta fino al 17 agosto nei locali dell’Architekturzentrum della capitale austriaca e che sfata completamente il mito di Vienna quale città secondaria per la politica territoriale ed edilizia del Reich. L’eterogeneo materiale esposto, quasi interamente proveniente dall’archivio privato di Klaus Steiner e ora di proprietà del centro stesso, dimostra infatti come quella che Hitler definì nel ’38 la «perla del Reich» avrebbe dovuto non solo diventare l’Amburgo dell’Est, per la sua posizione strategica di porta verso oriente, ma anche trasformarsi nella capitale culturale e artistica dello stato nazista, a compensare così la perdita di centralità politica in seguito all’annessione.

E proprio a partire da queste considerazioni di carattere strategico e territoriale si apre la mostra curata da Ingrid Holzschuh e Monika Platzer nei locali che, già nel ’41, avevano ospitato la propaganda sulla presenza nazista a Vienna. L’allestimento si snoda linearmente lungo una serie di sezioni tematiche che, sullo sfondo di un muro dal color rosa a richiamare la prima mostra espressamente antifascista del ’46 alla Künstlerhaus, seguono un percorso che, nelle parole della curatrice, l’architetta viennese Gabu Heindl va inteso come volutamente aperto e necessariamente non finito, a sottolineare la necessità di continuare un discorso di ricostruzione storica che, talvolta, appare in Austria particolarmente accidentato.
La prima parte della mostra ricostruisce il ruolo e la centralità di Vienna, allora seconda città del Reich per numero di abitanti e prima per espansione territoriale, nella più ampia strategia di conquista verso Est dello spazio vitale per il popolo tedesco. La Groß Wien avrebbe dovuto essere il centro di un immenso piano infrastrutturale che ne avrebbe fatto non solo il porto principale del Danubio e terminale delle comunicazioni vero l’est europeo ma anche capitale del commercio, dell’artigianato, della cultura e della moda.

La Perla del Reich diventa così dal marzo del ’38 teatro di una sfrenata euforia urbanistica e architettonica che ne avrebbe dovuto modificare radicalmente l’aspetto urbanistico e demografico, a partire dal piano di Franz Pöcher, allora impiegato nello studio di Albert Speer, che prevedeva la costruzione di un immenso Ring a rinchiudere i due assi monumentali, costruiti sullo sventramento del secondo e del ventesimo distretto, abitati in maggioranza da cittadini ebrei, oltre alla costruzione di un vero quartiere di rappresentanza politica ad est del Danubio.

La disciplina della pianificazione segue infatti anche per Vienna le linee guida, già espresse negli interventi per altre Führerstädte, le città del Führer che erano il fulcro della programmazione territoriale nazista, di combinare megalomani interventi alla scala urbana con interventi più minuti, in una sorta di marketing urbano a più livelli. La città avrebbe infatti dovuto garantirsi tanto un esatto studio e controllo dell’andamento demografico della propria popolazione quanto anche dotarsi di una serie di edifici di rappresentanza politica, culturale e commerciale.

Rientrano in quest’ottica, gli immensi progetti residenziali per 140.000 abitanti che Dunstmann proporrà partire dal 1940 per le estremità nord e sud della città. Risposta diretta e antitetica alla urbanità e al collettivismo tipici dei blocchi della Vienna Rossa, i progetti erano esempio di una pianificata strategia di diradamento urbanistico che avrebbe garantito la sorveglianza della popolazione tipo destinata agli insediamenti, ossia un nucleo famigliare di due genitori e quattro bambini.
Rispondono invece a una esplicita richiesta di monumentalità i progetti di rappresentanza alla scala urbana o architettonica presentati nelle sezioni successive. Non solo vengono presentati interventi di impatto urbano, come quello del ’42 di Dustmann per le zone del Ring tra la Heldenplatz e il Burgtheather o quello di Nadel per il secondo distretto, ma vengono realizzati o ipotizzati numerosi progetti di scenografia urbana allo scopo di impossessarsi dei luoghi più simbolici della città, quali l’Opera, il Ring, o il Belvedere, come nella proposta rimasta sulla carta, di trasformare la ex residenza imperiale in un museo del folclore, firmata da Haerdtl, architetto che tra il 1949 e il ’54 costruirà anche il museo della Città di Vienna accanto alla chiesa di San Carlo.

L’euforia e la megalomania di queste e altre idee ebbe però vita breve: già a partire dal settembre del ’39 l’attività edilizia nel Terzo Reich viene drasticamente ridotta e l’investimento nelle operazioni militari e nelle infrastrutture a protezione della città acquista priorità assoluta.
Vienna diventa zona di guerra, in città vengono completati i soli progetti strettamente necessari alle operazioni belliche, verranno costruiti bunker, rifugi per la popolazione oltre alle sei immense torri di vedetta antiaerea che tuttora punteggiano il profilo della città. Vienna subirà 52 bombardamenti che causeranno più di 8000 vittime, oltre al danneggiamento di oltre il 20% del proprio patrimonio edilizio. Molte delle visioni per la «perla del Reich» non vedranno mai la luce, verranno costruiti solo edifici funzionali, quali i magazzini portuali lungo il Danubio o frammenti minimi dei piani generali per i trasporti, oltre ad interventi minori. Nulla verrà realizzato nemmeno di quella utopica visione per Vienna nell’anno 3000 che il prof. Theiss compilò assieme ai suoi studenti del Politecnico di Vienna e successivamente esposta alla Künstlerhaus.

Anche se rimaste solo su carta queste visioni non perdono nulla del proprio valore simbolico. Scriverà infatti Carl Schmitt che non esistono idee politiche senza una concezione spaziale di riferimento né principi spaziali a cui non corrispondano idee politiche. La mostra viennese ne è ulteriore conferma.