Il cerchio del complotto si stringe e attorno al tavolo tondo del Consiglio dei ministri. La tecnica dell’approvazione «salvo intese», cioè senza un testo definito in tutti i punti, non nuova ma portata a vette sublimi da questo governo, si ritorce contro i giallo verdi. E soprattutto contro Di Maio, che 48 ore dopo il varo del decreto fiscale denuncia in tv un’ennesima cospirazione: qualcuno ha «manipolato il testo sulla pace fiscale». Che adesso comprende, nelle bozze circolate ieri – perché funziona così: il governo prima annuncia di aver approvato un decreto, poi non diffonde ufficialmente nulla ma lascia circolare bozze – anche uno scudo per i capitali all’estero e un salvacondotto per reati come il riciclaggio e l’autoriciclaggio. Soprattutto il condono da mini diventa maxi, salta il tetto dei 100mila euro perché viene riferito a ogni singola imposta elusa e per ognuno dei cinque anni fiscali già compresi. Di fronte a questa festa per i grandi evasori, la minaccia di sei anni di carcere per chi imbroglia con le dichiarazioni integrative, voluta dai 5 Stelle per mascherare il condono, diventa uno scherzo.

LE NOTIZIE sul vero volto della sanatoria fiscale circolano da ore e ammutoliscono i grillini, quando Di Maio va in televisione a Porta a Porta e sceglie di uscire dall’angolo nel modo più clamoroso. Ben oltre la strada già battuta del «complotto dei tecnici». «Il testo trasmesso alla presidenza della Repubblica – denuncia anche su facebook il vice presidente del Consiglio – non è quello accordato (concordato, ndr) dal Consiglio dei ministri. Non so se una manina politica o una manina tecnica». L’accusa è chiarissima e va in direzione dell’alleato leghista, che fino all’ultimo ha chiesto di allargare il condono fino a un milione di euro – in questo modo ci arriverebbe tranquillamente. «Non mi permetterei di dubitare di Giorgetti», ha dovuto aggiungere il vice presidente del Consiglio. Ma giusto ieri la Stampa ha raccontato, senza essere smentita, come sia stato proprio Di Maio a far presente al Quirinale che il sottosegretario leghista non dev’essere più considerato un interlocutore rappresentativo dei 5 Stelle. Poi il capo politico grillino dice di «non avere ragioni di dubitare della Lega perché ci siamo stretti la mano» e aggiunge, deve aggiungere, la «conferma della fiducia a tutto il governo».

MA NEL FRATTEMPO è proprio dal Quirinale che arriva la più clamorosa smentita alla spy story di Di Maio. La presidenza della Repubblica fa sapere di non aver ricevuto da palazzo Chigi alcun testo del decreto fiscale. Del resto dopo «appena» due giorni sarebbe stata una novità, dal momento che questo governo ha abituato a più lunghe trattative dietro le quinte, successive al «varo» ufficiale. Ineffabile, il vice presidente del Consiglio, dice allora che la soluzione è semplice: «Ai miei uffici aveva detto il contrario, ma se è così allora basterà stralciare quella parte. In ogni caso il Movimento 5 Stelle non voterà lo scudo fiscale». Solo che nel frattempo, perché convinto o per nascondere un po’ la clamorosa smentita di tutti gli annunci grillini di «onestà», sempre Di Maio aveva annunciato per questa mattina «una denuncia alla procura della Repubblica». La quale a questo punto, a prenderlo in parola, dovrebbe indagare su quello che è avvenuto nelle stanze di palazzo Chigi. Magari interrogando i ministri. Fantasia: è probabile che nessuna denuncia sia presentata, così com’è già finita quando Di Maio annunciò di voler procedere per danno erariale contro gli ex presidenti del Consiglio che avevano favorito Autostrade.

Su una cosa però si può dar ragione a Di Maio, che conclude dicendo che «il meccanismo decisionale del Consiglio dei ministri è troppo informale, deve avere dei segretari che verbalizzano». Il punto è che fin qui è stata proprio la sua maggioranza ad approfittare di queste approvazioni a metà, per modificare successivamente i testi del ddl anticorruzione e dei decreti Genova e sicurezza. Quanto al segretario responsabile della verbalizzazione c’è già. È Giorgetti.