Nomadica non è un festival ma una mostra itinerante di sperimentazione e ricerca di un cinema autonomo che quest’anno fa tappa a Capo d’Orlando di fronte alle isole Eolie, luogo mitico nell’universo cinematografico. Dal 30 luglio al 3 agosto (ma il workshop parte il 28) una carrellata di incontri, proiezioni e seminari, nei tre posti chiave della rassegna (Biblioteca, Pinacoteca, Miramare per le proiezioni serali), segneranno il punto su di un cinema che non si limita a «resistere» ma è intenzionato più che mai ad «attaccare».

Le rassegne e le proiezioni di opere di Luca Ferri, Cristian Cappucci, Mario Brenta, Giuseppe Spina, Franco Maresco, Vittorio Sindoni, Karine De Villers, Leonardo Carrano e altri (vedere programma sul sito: www.nomadica.eu), saranno accompagnate in parallelo da un workshop del regista indipendente Antonello Faretta che ha al suo attivo svariati cortometraggi d’arte (su John Giorno, tra l’altro) ed è reduce dalla fatica del suo primo lungometraggio, Montedoro, che, dopo l’anteprima al festival americano di Atlanta, sarà a Montreal e Annecy.

Faretta prosegue le lezioni e i workshop, iniziati a Bologna da Nomadica con Enrico Ghezzi, Rinaldo Censi, Franco Piavoli. «Dormiveglia mediterraneo. Immagini per mettersi al riparo» è il titolo del seminario che produrrà anche un video collettivo. Ricorda le espressioni di un poeta del luogo, quel Lucio Piccolo che ha attraversato come una meteora la letteratura del Novecento. «Sì, Piccolo è stato un grande poeta e alchimista che ha abitato questa parte della Sicilia – dice Faretta – e sono davvero entusiasta di rimandare alle sue cose e a quel dormiveglia che altro non è che l’immaginario di chi crea». Cioè, per essere più precisi? «Semplicemente – riprende Faretta – quel crinale incerto tra il sonno e la veglia dove le immagini si snodano tra sogno, realtà e finzione. È una sorta di incubazione della Visione, quindi dell’agire artistico del cinema ma non solo. E il Mediterraneo non è il luogo della luce ma dell’ombra. Quindi il dormiveglia mediterraneo è questo stato di grazia che produce immagini senza luce e senza macchine da presa. Immagini che fanno ombra, che mettono al riparo».
Il Mediterraneo, obietto, è anche un luogo di dolore e di lotta feroce tra gli uomini. «È così – aggiunge il regista – , il Mediterraneo da anni è un posto di conflitto e di dolore, e non dimentico che dal conflitto escono le cose più urgenti e originali. Insomma voglio dire che cercherò di dare una lettura necessariamente politica del cinema». Per esempio? «Ecco, mi piacerebbe – conclude Faretta – che fosse, come è stato in Montedoro, una piccola seduta psicanalitica in cui, a partire dagli scarti di quella pellicola che non ho montato ma mostrerò agli allievi, venisse fuori un cinema resistente, direi spirituale se la parola non è troppo azzardata».