L’ex chiesa di San Giacomo l’hanno restaurata. Nuovo spazio per la musica e le arti a Forlì, adatta per ogni tipo di elegante/dissennata agitazione culturale. Speriamo che venga davvero utilizzata così. L’assessora alla cultura del Comune dice che farà il possibile. Intanto, per i due giorni di inaugurazione, sono in scena due musicisti di caratura mondiale e di propensione non conformista. Convocati dagli sveglissimi leader di Area Sismica, per l’occasione in veste di direttori artistici. Chi sono i due? Francesco Prode, pianista che trova la contemporaneità in Ligeti e in Schumann, e Evan Parker, post-post-jazzman che la contemporaneità la trova nell’improvvisazione totale.

 

 

Prode inizia con Musica ricercata (1951-’53) di György Ligeti. 11 movimenti. Il secondo, reso celebre dalla scena dell’orgia di Eyes Wide Shut di Kubrick, è giocato su una nota singola acuta ripetuta in tono un po’ angoscioso. Lo strumento nuovissimo tradisce l’arguto interprete, il suono risulta metallico, come deve essere, ma «sparato», inutilmente distorto. Prode, sceglie la discorsività e la cordialità. Nel valzerino del quarto movimento è una vera delizia, quasi quasi vien da dire che esagera a metterci un bel po’ di salottiero. Anche le parti «espressioniste», come nell’ultimo movimento, le suona in modo rilassato. Vuole il piacere, e fa bene, non pensa che in questo Ligeti il piacere possa andare d’accordo col desiderio di rottura.

 

 

Nella Sonata n. 1 in fa diesis minore di Robert Schumann abbiamo Prode al suo massimo. Accorato quanto serve ma soprattutto immerso nella impressionante multidirezionalità di questa musica. Dice Prode: «Suonare queste pezzo è come essere su una biga tirata da tanti cavalli ognuno dei quali vuole andare dove gli pare e tu non sai bene quale guidare e quale seguire, è un’avventura al limite». E infatti, già nell’Introduzione, ecco Schumann che divaga, si allontana da ogni ipotetico centro, si deterritorializza. Nell’Aria, il movimento lento, capisci che dove un Chopin avrebbe «chiuso» una melodia struggente lui non lo fa, la melodia sono tante melodie che si diramano, lui lascia che la passione romantica sia quello che desiderava che fosse: rivoluzione culturale. Nello Scherzo la complessità «illogica» diventa fortissima e affascinante.

 

 

 

Prode con voluttà tumultuosa come Schumann, sorprende continuamente. Questo autore non si placa mai e non ti placa mai, tu ascoltatore. Profeta dell’utopia musicale e dell’informale musicale. Il Finale è tutto una meditazione, anzi è una free meditation.

 

 

 

 

Se non è free music questa, diciamo a Evan Parker, che ascolta accanto a noi. Lui sorride, si capisce che concorda un po’ e un po’ pensa che, le formule vanno usate per il tempo loro. La sua free music Parker la suona il giorno dopo, nel tardo pomeriggio. Col sax soprano. Il primi tre lunghi brani sono nel suo più classico idioma. Respirazione circolare, cortine di suoni limpidissimi, iterati e alterati all’interno di ogni singolo «cerchio» da certe note sovracute che portano turbamento, frattura, là dove regna una olimpica linea di suoni che non disdegnano qualche riferimento tonale. Nel bis evoca persino qualche nota blues gershwiniana. Parker magistrale, inconsueto. Pacificato?