Mentre il mondo finiva di festeggiare il nuovo anno ecco subito la «festa» di sangue» dei criminali attentati jihadisti di Parigi, con il corollario dello scellerato Netanyau che, indesiderato, si precipita nella capitale francese per autoproclamarsi, lui, «nemico del terrorismo». Intanto per la questione delle questioni, quella israelo/palestinese, anno nuovo ma politica vecchia. Con gli israeliani che si imbarcano in uno stanco processo elettorale, e i palestinesi a disturbare le insipide discussioni di veterani della politica che non hanno niente di nuovo da dire.

Abu Mazen, presidente del presunto stato palestinese, ha deciso di rivolgersi al Consiglio di sicurezza dell’Onu per far avanzare l’idea di uno Stato palestinese. Una mossa alla quale il grande arbitro statunitense era contrario. Risultato: non ci sono stati i nove voti favorevoli, che avrebbero obbligato Washington a mettere il veto per aiutare, dal loro punto di vista, gli israeliani.

Per quale ragione i palestinesi non hanno aspettato, per presentare il progetto, la nuova composizione del Consiglio, che molto probabilmente avrebbe consentito di trovare i nove voti? Avrebbero obbligato gli statunitensi al veto…probabilmente Abu Mazen non vuole irritarli più di tanto.
I francesi hanno appoggiato la proposta palestinese, gli inglesi si sono astenuti. Gli Stati uniti hanno votato contro. Due grandi «pacifisti» israeliani, l’ex presidente Peres e l’ex ministra Livni hanno fatto tutto il possibile per spiegare agli statunitensi e agli altri leader progressisti che non si doveva votare a favore della proposta perché avrebbe fatto il gioco della destra israeliana. Come in precedenza il terrore, l’aumento delle critiche contro Israele o l’assedio diplomatico sarebbero secondo loro armi formidabili per la demagogica campagna elettorale della destra israeliana.

Di fronte alla critica interna ad Abu Mazen, il dilemma non è di facile soluzione. La verità è che curiosamente questa sembra una ripetizione della storia degli israeliani prima della creazione di Israele. Quando Ben Gurion e i leader della comunità cercavano una via diplomatica e questa non funzionava, la via del terrorismo si rafforzava guadagnando maggiore popolarità. Ma ovviamente era un terrorismo più «morale», e non bisognerebbe fare questi paragoni…
Di fronte alla critica che infuria, Abu Mazen decide di presentare la richiesta che la Palestina sia accettata alla Corte penale internazionale. Il voto al Consiglio di sicurezza, che il governo israeliano riteneva così importante, sarebbe stato solo un’accettazione un po’ più formale del fatto che Netanyahu e i suoi alleati sembravano aver digerito: il piano di due Stati per due popoli. Non si è troppo critici a ricordare che si tratta solo di una menzogna tattica dei governanti israeliani.

Quando i palestinesi hanno chiesto di essere accettati alla Corte penale, la reazione israeliana è stata violenta. Netanyahu e i suoi alleati minacciavano di presentare al tribunale tutti i crimini presunti o reali dei palestinesi, ma in realtà c’era il forte timore che il tribunale avrebbe potuto occuparsi dei numerosi crimini israeliani, perpetrati non solo nell’ultima guerra, quando si sono contati centinaia di bambini e di civili fra le duemila vittime fatte da quello che qui viene sempre descritto come «l’esercito più morale del mondo».

Oltre all’attacco verbale, Netanyahu ha proceduto al congelamento dei fondi che Israele deve passare ai palestinesi, non come atto di beneficienza, ma sulla base di Oslo, e per via delle imposte che raccoglie. L’ultradestra applaude, i «moderati» non dicono niente, solo Zehava Galon, la leader del partito Meretz ha criticato aspramente la misura, mentre i partiti che rappresentano i palestinesi in Israele sembrano troppo immersi nelle discussioni su un probabile fronte unito.

In questo quadro, in Cisgiordania come a Gaza aumentano frustrazione, odio e disperazione. La ricostruzione a Gaza è più che problematica e lenta, ed è difficile immaginare le condizioni di vita, con decine, centinaia di migliaia di persone che hanno perso casa, lavoro, beni e non vedono all’orizzonte nessun vero cambiamento. In Cisgiordania la situazione è senza dubbio migliore di quella di Gaza, ma offre solo un avvenire molto incerto. Perfino i militari e i servizi segreti israeliani sembrano più moderati del governo, consapevoli che occorra offrire qualche speranza; e cercano di moderare le voci estremiste contro Abu Mazen. Non che siano pacifisti e di sinistra; lo fanno perché capiscono che questo stato delle cose può facilmente portare a una nuova esplosione.
Nessuna speranza nel futuro e una brutale repressione che aggiunge drammi a una situazione economica molto deteriorata: è evidente che gli attacchi dei palestinesi nelle ultime settimane sono frutto della disperazione di individui singoli che in genere non hanno alcun collegamento con organizzazioni politiche.
Nella campagna elettorale già sembrano intravvedersi i segnali di una possibile sconfitta di chi vuole un cambiamento in Israele. Mentre il primo ministro e la destra scelgono di insistere su «pericolo, terrorismo, patriottismo, traditori, chi può difendere il paese meglio di Netanyahu», il cosiddetto centro e la cosiddetta sinistra moderata pretendono di battere Netanyahu focalizzandosi sui temi socioeconomici.

La sinistra in pratica non fa parte della discussione; la popolazione palestinese e i pochi rappresentanti della sinistra radicale ebrea discutono di una problematica unificazione alla quale sono obbligati dal sistema elettorale, per il timore di rimanere al di sotto della soglia minima necessaria per entrare in parlamento. Per diverse persone, l’alleanza con un partito ultranazionalista o con un partito islamico è più che problematica.

Meretz e il probabile fronte offrono un’alternativa che non corrisponde alla cosiddetta socialdemocrazia israeliana. Il leader del laburismo Herzog ha stretto una curiosa alleanza con l’ex ministra Livni – che ha scoperto le meraviglie della pace negoziandola per diversi anni. L’alleanza ha permesso al laburismo di crescere parecchio nei sondaggi arrivando ad affiancare un indebolito Netanyahu, ma non basterebbe a creare una coalizione alternativa.
Come i falliti tentativi da parte dell’ex sinistra europea, il tentativo di «conquistare il centro» porto solo a una perdita di identità, che non attrae chi comincia a dubitare del processo democratico e magari pensa di non andare nemmeno a votare.

Il quadro della politica interna è molto difficile, ma è assai meno importante di quel che sembra essere dimenticato: il fatto che l’occupazione continua e la repressione non si attenua. Può sembrare ripetitivo dirlo. Ma è probabile che di fronte a una Israele dominata dall’ultranazionalismo, e a una comunità internazionale assai apatica, il risultato possa essere una nuova ondata di sangue.