Tra gli scrittori russi della generazione di mezzo un posto del tutto particolare spetta a Maksim Osipov, di professione medico cardiologo con una lunga esperienza ospedaliera in California e ora in servizio presso il nosocomio provinciale di Tarusa, nella provincia di Kaluga. Della sua prosa, breve, nervosa incisiva, ha dato di recente un giudizio lusinghiero Svetlana Aleksievic che, rileggendo i racconti di Osipov, ha paragonato la sua scrittura a una diagnosi precisa e implacabile della vita russa.

Maksim Osipov, del quale la casa editrice gattomerlino presenta il volume di prose e racconti Precipitò nel mare cavallo e cavaliere (traduzione di Irina Dvizova e Piera Mattei, pp. 162, euro 12,00) è cultore di quella che il poeta Sergej Gandlevskij ha chiamato una «forma enigmatica», per il suo contenuto vicina al romanzo, ma che in più nasconde il sapore della poesia lirica. Osipov ha il pregio di parlare di ogni cosa lontano da imposizioni propriamente letterarie, con la freschezza di chi si accosta senza pregiudizi alla vita e agli uomini. Il merito della traduzione italiana è proprio quello di mantenere questa forma di «narrazione con parole proprie», lontano da più complesse suggestioni stilistiche.

«Più ci si addentra nella lettura dei testi di Osipov – ha scritto Svetlana Aleksievic a propositi dei racconti – più essi ci paiono ingannevolmente semplici, proprio come in Šalamov: dietro la sua infantile e ordinaria semplicità si nasconde l’abisso». Se tutti noi lettori siamo «pazienti in cura della letteratura», lo stetoscopio dello scrittore-medico mette a nudo il battito e le reazioni che ognuno di noi prova di fronte alla realtà.
I racconti antologizzati nel volume offrono uno spaccato variegato e disincantato della vita della provincia russa vista attraverso gli occhi di un narratore di professione medico, alter ego dell’autore. L’ambientazione passa da una fantomatica cittadina chiamata Liebknechtsk (Karlo-Libnechtovsk in Ucraina?), a un treno notturno che collega Mosca a Petrozavodsk, o ancora sobborghi popolosi di Mosca e della sua provincia. I personaggi che affollano i racconti di Osipov sono i tanti e diversi cittadini oramai privati della patria sovietica nei ruggenti anni novanta e a cavallo con il nuovo millennio, tra miseria e arricchimento illegale, violenza e pietà.

Al centro di ogni brano troviamo il tema della malattia, della terapia, del mondo ospedaliero, ora a proposito di una giovane madre che, partorito il bambino, cade in coma irreversibile, ora nell’episodio del medico Eric cui la madre da piccolo aveva regalato il romanzo Il piccolo Lord con la raccomandazione di essere buono e aiutare il prossimo. Nel racconto «La zingara» il protagonista è un medico che accompagna su compenso i malati negli Stati Uniti per ricongiungerli con i parenti precedentemente emigrati.

Mentre nel racconto che dà il titolo alla raccolta, citazione dall’esordio del Cantico di Mosè, si narra di padre Sergij e del suo cane morente, poi delle vicissitudini del sacerdote in ospedale per un paventato infarto. Osipov disegna con mano leggera e sicura i suoi eroi, le loro paure e le loro speranze, offrendoci un quadro in movimento dei rapporti umani e dei loro sentimenti, e delle emozioni, in un contesto perennemente in tensione con il tempo e la morte, sul quale sovrasta l’ironica e amara annotazione secondo cui «ciò che non è scritto non esiste».