Se un solo malato a Codogno è stato in grado di far chiudere un ospedale e contagiare cinque, tra medici ed infermieri, cosa potrebbe succedere nei numerosi poliambulatori diffusi altrove nelle «zone rosse», e non solo, dove i medici stanno operando senza le necessarie protezioni? Se lo è chiesto il segretario degli specialisti ambulatoriali (Sumai) Antonio Magi che ieri ha denunciato l’assenza di strumenti di prevenzione per il personale negli ambulatori delle Asl. «Una gravissima mancanza. Chiedo l’avvio immediato di tutte quelle misure di protezione per evitare che si diffonda il contagio». Secondo Magi per gli Specialisti Ambulatoriali Interni e gli operatori sanitari non sono stati previsti i Dispositivi di Protezione Individuale (Dpi). E non sono stati previsti neanche per i pazienti. «È del tutto evidente che in questo modo si rischia il contagio da Coronavirus» sostiene.

Anche la Funzione pubblica (Fp) della Cgil denuncia la mancanza delle necessarie protezioni per il personale medico che sta lavorando in queste ore oltre il limite del sopportabile nelle cosiddette «zone focolaio» del virus. «Lavoratori di tanti territori stanno facendo collette per comprare i disinfettanti mentre ci segnalano che anche nelle zone focolaio mancano le scorte di Dpi. Questa è la prima cosa da affrontare» sostiene la segretaria della Fp Cgil Serena Sorrentino. Il sindacato chiede al governo e alle regioni di inserire nei provvedimenti legislativi fondi aggiuntivi da dedicare a questo personale.

Silvestro Scotti, presidente della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), ha raccontato un’altra situazione-limite. Nelle zone «gialle» e «rosse» i medici di famiglia sono costretti a portare direttamente a casa dei loro assistiti i certificati medici. Il rischio è contrarre anche loro il virus, anche perché non hanno in molti casi la possibilità di proteggersi. «Se l’Inps ha bloccato le visite fiscali finché i medici non avranno i dispositivi di protezione, perché noi medici di famiglia dobbiamo continuare a farle, senza alcuna protezione?». Scotti ha deciso di fare ugualmente i certificati, senza visita, «dopo di che andrò ad autodenunciarmi. Non si possono esporre al contagio i medici di famiglia per un’azione amministrativa. Tra l’altro quelli di noi che ora sono in quarantena nelle zone colpite, non sono stati sostituiti».

A Lodi è emerso un altro problema: la mancanza, in tutta la Lombardia in realtà, della «ricetta dematerializzata». A differenza di Veneto e Sicilia, infatti, in questa regione non è stata adottata. E nell’emergenza questa è un’altra possibilità di contagio. «Se la spesa viene portata a casa, anche in questi giorni in cui si cerca di evitare la diffusione della malattia – domanda Scotti – perché per i farmaci bisogna recarsi presso lo studio del medico di famiglia?».