Il 2019 si è chiuso a Napoli con circa cento aggressioni al personale medico in un anno, il 2020 è cominciato con due nuovi episodi. Una dottoressa, in servizio nel pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni Bosco, è stata colpita con una bottiglia la notte del 31 dicembre da un paziente psichiatrico sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio. E ancora: la mattina del primo dell’anno nel quartiere di Barra un petardo è esploso vicino all’ambulanza del 118 intervenuta per soccorre sul posto un residente. Il personale stava risalendo sul mezzo quando c’è stata la deflagrazione.

Nessuno dei componenti dell’equipaggio ha riportato ferite così i sanitari hanno continuato il turno di servizio. L’episodio è stato reso noto via social dall’associazione Nessuno Tocchi Ippocrate: «Il medico colpito dallo scoppio si farà refertare oggi (ieri ndr) perché il primo gennaio non c’erano otorini disponibili nella rete di emergenza. Un episodio simile accadde alla postazione Aeroporto a Pianura esattamente un anno fa. La paura è stata tanta, c’è il rischio che l’ambulanza salti in aria per la presenza di ossigeno gassoso e benzina».

La Croce rossa con Paolo Monorchio ha commentato: «A Napoli peggio dei territori di guerra. Scorte armate? Per ora mi accontenterei delle telecamere a bordo dei mezzi di soccorso». Il direttore generale dell’Asl Napoli 1, Ciro Verdoliva, ieri ha promesso: «Le telecamere saranno sistemate a cominciare da metà mese, la prima sarà installata il 15 gennaio». Ma il presidente nazionale del Sistema 118, Mario Balzanelli, ha ricordato: «Il tema è rinforzare il servizio con una riforma legislativa nazionale. Il 95% delle aggressioni è motivata dal fatto che i soccorsi arrivano con ritardo perché troppo pochi e peraltro, nei casi di maggiore gravità clinica, sempre più senza medico e senza infermiere a bordo, ossia privi di personale sanitario in grado di fare diagnosi e terapia immediata potenzialmente salvavita».

I camici bianchi chiedono da tempo un intervento legislativo che li tuteli: «Inasprire le pene al più presto per chi aggredisce medici e paramedici e dare il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale al personale sanitario in servizio nella rete 118 e negli ospedali» sintetizza Manuel Ruggiero, medico del 118 e presidente di Nessuno tocchi Ippocrate. Il presidente dell’Ordine dei medici partenopeo, Silvestro Scotti, si appella al premier Giuseppe Conte: «È da oltre un anno che è fermo un disegno di legge contro la violenza sui camici bianchi. A Napoli il problema è doppio perché legato a molte aree in cui il disagio sociale è più pressante.

Lo scorso anno avevamo incontrato il prefetto e l’allora ministro della Salute, Giulia Grillo: ci era stato chiesto di fare un elenco degli ospedali più a rischio e l’abbiamo consegnato. Sono necessari posti di polizia in ospedale: non solo a fini amministrativi, come sporgere denuncia, ma con compiti operativi». Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha postato sui social: «Bisogna approvare rapidamente la norma, già votata al Senato a settembre, contro la violenza ai camici bianchi. Non si può aspettare».

Insulti, tentativi di strangolamento, spedizioni punitive: il 66% dei medici dichiara di aver subito aggressioni da parte dei pazienti, di queste un terzo sono state fisiche. I dati arrivano dall’ultimo sondaggio condotto dal sindacato dei medici Anaao Assomed. Le aree più a rischio sono la psichiatria e il pronto soccorso, i pericoli maggiori si corrono nel Mezzogiorno: arriva infatti al 72% nel Sud e nelle Isole il numero di medici che denuncia aggressioni e sale all’80% tra chi lavora nei pronto soccorso. Per combattere questo fenomeno il parlamento ha previsto un inasprimento delle pene con procedibilità d’ufficio ma manca ancora il passaggio finale alla Camera. Nel 2018, secondo i dati diffusi dalla Cri, sono stati registrati oltre 3mila casi a fronte di solo 1.200 denunce all’Inail. I ritardi delle ambulanze e l’inefficienza dei servizi di triage sono le motivazioni principali addotte dagli aggressori. Tra le città la maglia nera spetta proprio a Napoli, capoluogo di una regione la cui Sanità è stata commissariata per dieci anni con tagli brutali agli ospedali.