È fallito di nuovo il tentativo dei migranti partiti in carovana dall’Honduras mercoledì scorso di superare il folto sbarramento di forze di sicurezza guatemalteche a Vado Hondo, nel dipartimento guatemalteco di Chiquimila, dove erano bloccati da sabato.

L’impiego da parte di polizia ed esercito di sfollagente, gas lacrimogeni e granate assordanti ha avuto la meglio anche sulla loro disperata determinazione a proseguire, malgrado tutto, il cammino verso gli Stati uniti.

Invano le forze dell’ordine avevano provato a convincerli a tornare indietro, cioè nell’inferno da cui erano partiti: di fronte al loro rifiuto, è scattata una pesante azione repressiva, con un bilancio di numerosi feriti.

L’uso della forza da parte dell’esercito e della polizia nazionale civile ha provocato anche la reazione del procuratore generale dei diritti umani in Guatemala Jordán Rodas Andrade, il quale ha espresso, in un comunicato, «allarme e preoccupazione di fronte al ricorso da parte delle autorità governative di contingenti militari incaricati di bloccare il passaggio» della carovana. I migranti, ha denunciato, «fuggono dalla disuguaglianza sociale, dalla povertà e dalla violenza e non possono ricevere un trattamento crudele e inumano in territorio guatemalteco».

Gli scontri con le forze di sicurezza hanno costretto la carovana, composta da circa 6mila persone – a cui lunedì si è aggiunto anche un gruppo di almeno 300 salvadoregni -, ad arretrare di vari chilometri, in attesa di elaborare una nuova strategia per poter superare la barriera militare. Ma intanto in diversi si sono arresi, scoraggiati dalla stanchezza e dalla repressione e convinti dal governo Giammattei a non «insistere in un progetto destinato al fallimento».

Secondo l’Istituto guatemalteco della migrazione (Img), sono già 909 – 815 adulti e 94 minori non accompagnati – i cittadini honduregni che «hanno deciso volontariamente di tornare in patria».

Mentre altri 474, che non facevano parte della carovana bloccata a Chiquimula, sono stati intercettati e consegnati all’Igm, e 21, risultati positivi al Covid-19, sono stati trasferiti in centri sanitari dove resteranno in quarantena prima di fare ritorno nel loro paese.

In questo quadro, è intervenuto anche il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, invitando i governi di Guatemala e Honduras, ma anche esponenti del team di Biden, a un’azione coordinata per risolvere a breve termine la crisi dei migranti. «Ho già parlato al telefono di questi temi con il presidente Biden», ha assicurato López Obrador, auspicando una riforma migratoria da parte della nuova amministrazione Usa e il suo impegno a favore dello sviluppo del Centroamerica e del Messico, «per evitare che la gente si veda obbligata a emigrare».

Ma il messaggio giunto via Twitter dal sottosegretario di Stato ad interim per gli Affari dell’Emisfero occidentale Michael Kozak non sembra giustificare la speranza di un’immediata svolta nella politica migratoria Usa: «Grandi gruppi di persone che attraversano illegalmente le frontiere sono un rischio per la salute e la sicurezza. Esortiamo l’Honduras a rafforzare le misure di controllo alla frontiera e i protocolli sanitari per prevenire future carovane».

E ancora: «Sosteniamo gli sforzi legali di Guatemala e Messico per garantire frontiere sicure, salvaguardare la salute e una migrazione sicura, ordinata e legale in questo emisfero».

E pazienza per i cittadini honduregni condannati all’inferno dal governo di Juan Orlando Hernández, l’illegittimo presidente che proprio gli Usa hanno mantenuto al potere contro la volontà di un intero popolo.