La visita di Angela Merkel e i timori per il nuovo gasdotto russo-tedesco segnano a Kiev il trentesimo anniversario dell’indipendenza ucraina.

«NORTH STREAM 2 non deve diventare un’arma», ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, che a due anni dal successo elettorale contro Petro Poroshenko appare oggi alla ricerca di nuovi equilibri.

Il ritiro degli Stati uniti dall’Afghanistan ha spinto i suoi consiglieri a profonde riflessioni sull’opzione militare per la crisi nel Donbass. E la campagna per il controllo degli apparati paramilitari ha generato pericolose tensioni con l’ultradestra, come dimostrano le recenti violenza nel paese.

Per capire quale strada stia percorrendo la società ucraina può essere utile prendere in esame le condizioni della stampa e confrontarle con i vicini. Molto ha fatto discutere la scorsa settimana la decisione del governo russo di inserire il network Dozhd nell’elenco degli «agenti stranieri», e quindi delle organizzazioni che possono subire azioni penali per avere ricevuto fondi dall’estero.

Il problema sarebbero 40mila dollari raccolti da Dozhd fra il 2016 e il 2020, prima che la legge entrasse in vigore. «La nostra posizione è chiara: non siamo un agente straniero, non siamo un agente di alcun tipo, siamo un media russo che rispetta le regole», ha detto il direttore, Tikhon Dzyadko.

DOZHD HA AVUTO l’immediata solidarietà della stampa europea. A poche ore di distanza, a Kiev, il Consiglio per la Sicurezza ha cancellato dalla rete il portale Strana.ua. Strana, che significa «paese», è scritto in lingua russa ed è considerato una rara voce di opposizione in Ucraina. Per chiuderlo le autorità non hanno fornito spiegazioni, non hanno atteso la sentenza di un tribunale e neanche la firma di Zelensky sul decreto.

«Quando abbiamo chiesto che cosa avessimo fatto, i servizi segreti ci hanno risposto che siamo coinvolti in attività illegali», hanno scritto nel loro messaggio ai lettori i giornalisti di Strana: «Cose del genere non accadevano neanche con Poroshenko».

Strana sarebbe la vittima di uno scontro fra il governo e l’uomo d’affari Ihor Hushva, fuggito in Austria nel 2018. Hushva è l’editore del portale. Per i servizi segreti è anche un «propagandista del Cremlino».

QUAND’È USATO dagli apparati dell’Interno, il marchio conduce alla censura di opinionisti, organi di stampa e partiti politici. Ma questo tipo di linguaggio si è fatto largo anche attraverso un certo genere giornalistico definito dai suoi stessi autori «indipendente».

L’Ukrainian crisis media center, i cui progetti sono finanziati da organizzazioni internazionali come per esempio Unicef, Nato, Usaid e Institute for Statecraft, ha pubblicato in primavera un rapporto dal titolo Battaglia delle narrative: la disinformazione del Cremlino nel caso di Vitaly Markiv in Italia.

Markiv è il comandante della Guardia nazionale a giudizio nel nostro paese per il duplice omicidio del fotoreporter Andrea Rocchelli e dell’attivista Andrei Mironov, uccisi insieme nel 2014 nel Donbass.

L’obiettivo del rapporto è denunciare infiltrazioni della propaganda russa nei media italiani in occasione del processo. Nel 2019 Markiv è stato condannato a ventiquattro anni di carcere dal Tribunale di Pavia.

LA CORTE DI APPELLO di Milano lo ha assolto a novembre del 2020 per non avere commesso il fatto sulla base di un vizio di procedura, confermando, tuttavia, le ricostruzioni del primo grado, a partire dalle responsabilità della Guardia nazionale. La sentenza della Cassazione è attesa entro la fine dell’anno.

Su questa vicenda l’ex ministro dell’Interno Arsen Avakov si è speso in prima persona con una poderosa campagna di promozione degli interessi nazionali. Anche attraverso il sostegno a «film-documentari». L’ultimo, Nome di battaglia: Italiano, è trasmesso da un anno a questa parte in Ucraina e fornisce una versione dei fatti ampiamente smentita dal confronto fra le parti nei primi due gradi del processo.

Se da un lato questo tipo di giornalismo «indipendente» può essere funzionale ai programmi del governo, rischia dall’altro di produrre sfiducia nei cittadini.

Secondo un sondaggio compiuto dell’istituto Iniziativa Democratica proprio in occasione dei trent’anni di indipendenza, oggi in Ucraina soltanto il 53 per cento crede sia possibile esprimere liberamente un’opinione. Per il 20 per cento la risposta è «no». Un altro 20 per cento ritiene sia difficile rispondere.