Leggere la storia dell’arte quale incessante ripetere o negare le ricerche di volta in volta precedenti, significa aderire a quella che nel 1973 Harold Bloom definì the anxiety of influence. Il concetto di «influenza» non è però, sempre e solo, unidirezionale: ogni artista influenza il successivo passandogli il testimone, ma al contempo chi viene dopo può influenzare la lettura dell’opera del suo predecessore portandone alla luce potenzialità rimaste secondarie o nascoste.
A darne un’implicita conferma è la monografia di Sharon Hecker Un monumento al monumento Medardo Rosso e le origini della scultura contemporanea, pubblicata da Johan & Levi Editore (pp. 320, euro 33,00). Si tratta di un interessante studio in cui, oltre a ripercorrere cronologicamente l’attività dello scultore, se ne rilevano gli aspetti che altri artisti hanno colto ex post e che, da loro condotti a sviluppo, sono divenuti caratteristici dell’arte del nostro tempo. La tesi su cui si fonda il volume è infatti la seguente: l’origine dell’arte moderna risiede in Medardo Rosso, non solo in Rodin a cui si è soliti attribuire il ruolo di solitario ed eroico innovatore.
1992, la visita a Barzio
La volontà di rintracciare l’influenza di Medardo Rosso sull’arte moderna e contemporanea deriva forse dalla particolare occasione in cui Sharon Hecker si trovò a «incontrarlo» per la prima volta. Come ricorda nell’introduzione del libro, fu Luciano Fabro, assieme alla figlia Silvia e alla sua biografa Jole De Sanna, ad accompagnarla nel 1992 a Barzio, a visitare il Museo Medardo Rosso. Fabro considerava infatti quest’ultimo uno dei principali punti di riferimento del suo lavoro, che pertanto non poteva essere compreso senza prima aver conosciuto l’opera dello scultore di esso ispiratore. Da allora Sharon Hecker ha intrapreso lo studio di Medardo Rosso, di cui oggi è tra le massime esperte, cercando di rintracciarne l’influenza anche sugli artisti più recenti.
Ma chi era quell’indomito scultore che il critico d’arte tedesco Julius Meier Graefe definì «caparbiamente refrattario a qualunque vaga forma di compromesso»? Gli otto capitoli di cui si compone Un monumento al monumento, ben ne ripercorrono la storia e le opere.
Nato a Torino il 20 giugno 1858, Medardo Rosso si trasferisce con la famiglia a Milano nel 1877. Lì espone per la prima volta una sua scultura, L’alienato, in occasione dell’«Indisposizione di belle arti» del 1881. Il titolo della mostra è profetico: l’indisposizione a piegarsi all’eroica e nazionalistica scultura ottocentesca, costituirà la principale caratteristica del suo percorso.
Già nel 1883, infatti, viene espulso dall’Accademia di Brera per aver realizzato un «sovversivo» monumento funebre: ne La Riconoscenza, anziché scolpire, secondo la tradizionale scultura monumentale dell’epoca, una figura femminile assorta in preghiera, pone a terra, eliminando il tipico piedistallo, una donna prostrata su una tomba aperta, con i piedi nudi e i sandali veri poggiati vicino.
Ma è con il trasferimento nel 1889 a Parigi, città dove risiederà fino al 1922, che la sua «rivoluzione» giunge a compimento: i classici temi eroici della scultura ottocentesca sono sostituiti da uomini, donne e bambini, emarginati, malati (Enfant malade, 1893-’95), malinconici oppure ridenti, che non modella realisticamente, ma frammenta e fonde nella cera (suo materiale d’elezione) o nel bronzo, dematerializzandoli. Sovente li inclina arditamente in avanti (in Impression de boulevard. Paris la nuit, 1896-’99), oppure ne elimina il corpo e i connotati individuali (in Madame X, ca. 1896). L’antieroismo, la frammentazione, la dematerializzazione, il disassamento e l’astrazione intrinseci alle sue sculture, sottolinea Sharon Hecker, sono poi divenuti capisaldi dell’arte contemporanea, assieme alla pratica di accostare elementi artistici a non artistici, nonché opere di epoche differenti, applicata da Medardo Rosso nel 1887 quando a Venezia espone la Ruffiana sul battente di una porta, e nel 1903 quando presenta nel proprio studio alcuni suoi lavori moderni accanto a sue riproduzioni di opere antiche.
Lavorando su piccola scala, con materiali a buon mercato e dotandosi di una propria fonderia, rende inoltre la scultura facilmente trasportabile, più economica e libera dalle grandi commissioni. In anticipo con i tempi, cerca così di alimentare il mercato e al contempo di controllarlo vendendo i suoi lavori direttamente in studio e compiendo «performance» nella sua fonderia dove si esibisce nella fusione del bronzo.
Cambiare le date e i titoli
È anche tra i primi a captare le potenzialità della fotografia nel controllo dell’immagine pubblica: per questa ragione, distribuisce ai clienti fotografie che lo ritraggono nello studio e foto-cartoline da lui firmate e ritoccate raffiguranti sue sculture.
Ma la grande rivoluzione di Medardo Rosso include anche la prassi di cambiare, oltre alle date, i titoli delle opere tenendo conto della lingua della città dove sarebbero state esposte. Così facendo, precorre la confutazione dei concetti di tempo, di spazio e di appartenenza nazionale attuata dall’arte del ventesimo secolo.
Non appare quindi strano che sia molto ampio il novero degli artisti influenzati, secondo Sharon Hecker, dal suo lavoro: l’elenco va da Constantin Brancusi a Umberto Boccioni, da Alberto Giacometti a Henry Moore, dagli italiani Giuseppe Penone, Giovanni Anselmo, Mario e Marisa Merz, agli stranieri Joseph Beuys, Wolfgang Lai, Anish Kapoor e Urs Fischer.
Questa grande fortuna postuma di un autore che ha fatto del fuggire da etichette, movimenti artistici e confini nazionali, un aspetto chiave del suo percorso verso un’arte transnazionale, fluida, dematerializzata, conferma quanto J.R.R. Tolkien sostiene nella citazione scelta da Sharon Hecker come epigrafe del volume: «Non tutti gli erranti sono perduti», anzi!