In Transatlantico i toni non sono affettuosi. «Non arriveranno neanche al 2 per cento» dice un deputato di Mdp all’indirizzo di ’quelli di Pisapia’. La replica è: «Noi siamo coerenti, loro invece vogliono fare la cosa rossa». Il giorno dopo la rottura fra Art.1 e Campo progressista, ancora non volano gli stracc, ma poco ci manca.

PER ORA IL GRUPPO PARLAMENTARE di Mdp non si spacca. «Crediamo che il gruppo debba rimanere unito nel suo pluralismo politico. Del resto è già capitato diverse volte che abbiamo votato in maniera differente», rassicura con ironia Ciccio Ferrara all’uscita di una delle tante riunioni della giornata. Ma altri avvertono che ci sono i numeri per un nuovo gruppo, con l’arrivo di Tabacci e dei centristi vicini all’ex sindaco. Da Mdp si assicura però che i diciotto parlamentari originari dell’area ex Sel non sarebbero tutti pronti al nuovo trasloco. «Se ne andranno in otto, al massimo».

ALLA CAMERA I DALEMIAN-BERSANIANI e Campo progressista si acconciano a una breve convivenza forzata. Formalmente le divergenze potrebbero arrivare a novembre, sulla legge di bilancio (Mdp voterà comunque no, anche se per ora viene negato l’automatismo). Magli ex Pd insinuano dubbi sui voti di Cp sulla legge elettorale, il Rosatellum, da oggi in aula. «Non saremo la stampella di Renzi, ma neanche il soprabito di qualcun altro», avverte Massimiliano Smeriglio. Il Pd manda offerte: fa sapere che sulla finanziaria ci saranno aperture sulla cancellazione dei superticket. E altro. Tutto pur di fare ponti d’oro a Pisapia. «L’unica cosa che non si discute è la leadership di Renzi», è la condizione.

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IL GIORNO DOPO LA ROTTURA le opposte riunioni cercano di autoconvincersi della bontà della scelta. Alle dieci di mattina Mdp raduna il coordinamento al partito, assenti Bersani e D’Alema, Speranza conduce le danze. La «carta dei valori» che Pisapia aveva promesso da più di tre mesi e che, già scritta, giaceva in un cassetto in attesa degli eventi, arriverà entro due giorni. L’assemblea costituente di Mdp del 19 novembre, annunciata da D’Alema a mezzo stampa, invece rallenta. Ora che non serve a «pesare» le due forze Mdp e Cp – «a eleggere democraticamente i gruppi dirigenti del nuovo soggetto» è la versione ufficiale – sarà ripensata. La ricerca della nuova leadership per ora è accantonata. Mdp convocherà un momento «pubblico» dopo il voto in Sicilia, ma entro fine novembre o i primi di dicembre la vera kermesse sarà il battesimo della lista. Serve tempo per consentire la discussione in Sinistra italiana. Ma la strada è questa.

IERI DOPO UN LUNGO COLLOQUIO fra Speranza e Fratoianni a Montecitorio, il segretario di Si ammette: «Ci sarà un progetto unitario». Ora che non c’è più Pisapia, alla partita si candida anche l’area civica di Anna Falcone e Tomaso Montanari, messe da parte le critiche severe all’Ulivo di Bersani e D’Alema, leader della sinistra di oggi: «A giugno abbiamo lanciato il percorso del Brancaccio», hanno spiegato l’avvocata e lo storico dell’arte in una tempestiva conferenza stampa, «ora è a tutti chiaro che era la strada giusta». Anche per loro, obiettivo polo civico e di sinistra e lista unica « in prospettiva in un soggetto di sinistra».

DALL’ALTRA PARTE, l’area di Pisapia si riunisce alla camera nel pomeriggio. L’ex sindaco resta a Milano ma dà un’indicazione: «Avanti per un soggetto arancione». Infine la sera una delegazione viene vista salire dalla presidente Laura Boldrini. Ci sono fra gli altri i deputati Ferrara, Smeriglio e Piras, i giovani Marco Furfaro e Mapi Pizzolante. La presidente appare lontanissima dalla ’Cosa rossa’.

INTANTO IN TRANSATLANTICO passeggia un veterano delle scissioni a sinistra, Achille Occhetto. Che non la manda a dire: «Questo è un paese in mano a un serial killer e nessuno dice niente. Non capisco perché voi giornalisti gli andiate ancora dietro…». Non lo nomina ma ce l’ha con D’Alema. « Il bello è che la ha sbagliate proprio tutte e voi gli date ancora credito», aggiunge.

D’ALEMA, IL VINCITORE MORALE del braccio di ferro con Pisapia, nelle stesse ore è alla camera del lavoro di Milano e fa mostra di generosità: «Il nostro è un campo aperto, ci sta anche Campo Progressista. Senza avere un nome né un simbolo non si poteva continuare a tergiversare perché le elezioni sono alle porte», dice per spiegare la rottura improvvisa dei suoi. Poi non resiste alla battuta: «Pisapia ha detto di volersi accordare con Renzi. Se non ci riesce ci siamo noi. Se no in mezzo rischia di stare stretto. Non vorrei che alla fine sia lui a fare un partitino, che magari ha il 3 per cento»