Intorno alle 18 di ieri pomeriggio il rimorchiatore Mare Jonio della missione Mediterranea è entrato nel porto di Pozzallo. A bordo, oltre all’equipaggio, 67 naufraghi tratti in salvo 48 miglia a sud-ovest di Lampedusa la notte precedente. Stavolta il Centro di coordinamento per il soccorso marittimo (Mrcc) di Roma ha indicato senza troppi indugi il porto sicuro (Pos) dove sbarcare. Dovrebbe essere un fatto normale, invece suona come una novità di non poco conto vista la prassi introdotta dalla politica dei «porti chiusi» dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e mai messa davvero in discussione dal governo M5s-Pd.

«È SUCCESSO semplicemente quello che prevede la legge: il paradosso è che ci eravamo abituati ad attendere per giorni fuori dai porti, come se salvare vite umane fosse un reato – ha commentato Luca Casarini, capomissione di Mediterranea – Adesso, però, va fatta sbarcare anche la Sea-Watch 3». Su questa nave, che batte bandiera tedesca, ci sono 211 persone salvate in tre diversi interventi. Alla richiesta del Pos le autorità italiane hanno prima risposto di No e poi offerto il trasbordo dei naufraghi sulla Moby Zaza, la «nave quarantena» su cui il 21 maggio scorso un ragazzo tunisino si è tolto la vita.

LA SEA-WATCH 3 si sta dirigendo verso Porto Empedocle per il trasferimento delle persone pur non ritenendo, come ribadito dalla Corte di Cassazione nel verdetto Rackete, che una nave possa essere considerata un porto sicuro. In una nota l’Ong ribadisce che: «Al termine del periodo di quarantena, nel rispetto dei loro diritti e dignità, le persone devono essere accolte a terra, in un luogo sicuro, come previsto dalle convenzioni internazionali».

LA LOCALIZZAZIONE delle barche in pericolo di naufragio è stata condotta dall’aereo Moonbird di Sea-Watch. «Tra i casi avvistati c’è anche un gruppo di 20 persone che a oggi non risultano ancora soccorse», sostiene Linardi. Come hanno denunciato in un recente rapporto Alarm Phone, Borderline Europe e le Ong impegnate nei salvataggi in mare, i velivoli Frontex che effettuano monitoraggio sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale comunicano soltanto con la cosiddetta «guardia costiera libica». Secondo le informazioni raccolte dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura tra il 17 e il 19 giugno sono state 458 le persone respinte nel paese nordafricano dalle motovedette di Tripoli. Questa prassi ormai consolidata non solo potrebbe configurare alla lunga delle responsabilità giuridiche dei paesi europei per la violazione del principio di non-refoulement previsto dalla Convezione di Ginevra, ma aumenta a dismisura i rischi per chi tenta di attraversare il mare.

«ABBIAMO INDIVIDUATO e salvato i naufraghi poco prima che arrivasse una bufera – afferma Casarini – Li avevamo cercati per tutta la notte, aiutati solo da Moonbird. Si sarebbe potuto localizzare quelle persone immediatamente, perché sopra le loro teste volavano gli aerei di Frontex. Fuggire dall’inferno libico non può essere una roulette russa. Servono politiche europee che prendano in carico la tragedia umanitaria che va avanti a soli 250 km dalle nostre coste».

VENERDÌ 19, alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato, Oxfam ha pubblicato un rapporto in cui denuncia l’aumento del flusso di finanziamenti che partono da Roma e arrivano a Tripoli. «Dall’Italia 3 milioni in più alla guardia costiera libica rispetto al 2019, per uno stanziamento complessivo di 58,28 milioni per il 2020 e di 213 milioni in tre anni, nonostante le indicibili violazioni dei diritti umani inflitte a migliaia di disperati», scrive Oxfam. Questa strategia aumenta le sofferenze nei campi di tortura e non risolve le stragi in mare. Secondo i numeri dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono 227 le morti accertate nel Mediterraneo centrale dall’inizio dell’anno. Quasi una su tre nei primi 20 giorni di giugno.