Raggiunge immediatamente l’effetto voluto Piercamillo Davigo con la raffica di dichiarazioni dei suoi primi giorni da presidente dell’Anm, e costringe tutti a misurarsi ancora sul tema del rapporto tra magistratura e politica, che dopo una fase carsica si mostra sempre pronto a riesplodere in tutta la sua drammatica centralità. Non è stato Davigo però a rompere la pace apparente, gli va dato atto. Sono state le reazioni del capo del governo alle indagini di Potenza e soprattutto la dichiarata intenzione di mettere mano alla disciplina sulle intercettazioni, sulla cui riforma l’esecutivo intende farsi rilasciare una delega quanto più ampia (e pericolosa).
Ora, è certo che Davigo in questa sua sovraesposizione mediatica vuole parlare alla politica: sembra anche che un qualche effetto sia da riconoscergli, visto che il premier nelle sue ultime interviste dice che le intercettazioni non sono più nel raggio di intervento del suo governo. È probabile che di qui in avanti il presidente del Consiglio quando parlerà dell’Anm eviterà finalmente il motteggio ed il sarcasmo (quel «brr, che paura…» dovrebbe ancora bruciare sulla pelle di tutta la magistratura associata), speriamo per dedicarsi con più solerzia alle indifferibili riforme del processo penale, scientificamente sabotato nella sua funzionalità dai tanti interventi legislativi che negli anni si sono succeduti.

È evidente però che Davigo si sta servendo della potente tribuna di cui dispone per rivolgersi innanzitutto ai magistrati, puntando a rafforzare il successo che le elezioni associative gli hanno attribuito, cavalcando le troppe contraddizioni che hanno contraddistinto l’atteggiamento della magistratura, ed anzi contribuendo a mettere in luce le evidenti mutazioni nel più generale rapportarsi al potere in carica.
Non sembra avvertire il pericolo Anna Canepa, segretaria di Magistratura democratica, che nella sua intervista al manifesto (domenica, 24 aprile) più che di dar torto a Davigo sembra preoccuparsi di fornire sostegno al governo. Sia chiaro, sono tutte da sottoscrivere le sue affermazioni a proposito dell’inaccettabilità della concezione panpenalista di Davigo, e della sua fede malriposta nella capacità moralizzatrice del processo. Ma davvero sono sufficienti gli esiti degli stati generali dell’esecuzione penale per promuovere l’azione governativa in tema di carcere e di giustizia penale? Lo scandalo del blocco della riforma della prescrizione si aggiunge alla inerzia nel campo delle misure che necessitano alla giustizia penale per riprendere efficacia e sostanziale equità, mentre sul piano più generale delle scelte di politica repressiva resta, a tacer d’altro, il macigno del mantenimento del reato di immigrazione clandestina, dietro l’alibi della possibile risposta contraria della opinione pubblica.

Più in generale, un gruppo associato che si definisce ancora «di sinistra» non può ignorare, nel prendere partito, lo scempio posto in essere da questo governo nel campo dei diritti sociali e del lavoro, precarizzato ed impoverito dal brutale spostamento del baricentro del potere regolatore in favore della parte datoriale, con la ovvia marginalizzazione del ruolo equilibratore del giudice. Anche questo è andato a comporre la politica giudiziaria del governo Renzi, eppure si tende a dimenticarlo. E sempre questo è il governo che ha messo mano alla Costituzione, con una riforma che verrà sottoposta a referendum confermativo su cui anche Md si è schierata per il No.
Soprattutto, per contrapporre, giustamente, a Davigo una visione meno corporativa e autoassolutoria di quella che lui difende ed incarna, il punto si tiene non certo assumendo posizioni smaccatamente filogovernative, ma piuttosto riscoprendo la sana critica dall’interno, non solo rispetto alla giurisprudenza, ma anche contro l’evidente riallineamento dietro lo scudo della politica per le scelte «pesanti» nelle nomine dei capi degli uffici.
Una discussione urgente dovrebbe iniziarsi ad esempio sull’orientamento dei componenti laici del Csm per il candidato alla procura di Milano che attualmente ricopre un incarico fiduciario quale quello di capo di gabinetto del ministro della giustizia Orlando. Indipendentemente dal valore della persona, che non si discute, una proposta del genere avrebbe provocato in altri tempi reazioni di cui non si vede traccia.
Per quel rilancio dell’azione di Md che oggi si auspica, è proprio di Davigo che si deve parlare?

L’autrice è stata segretaria di Magistratura democratica dal 2007 al 2010