Attesa, arriva puntuale la critica al governo, e direttamente al presidente del Consiglio – «modello fortemente maggioritario fondato tutto sul carisma personale e mediatico del vincitore di turno» – ma dalla prima giornata del congresso di Md a Reggio Calabria arrivano anche l’autocritica e la testimonianza di uno sforzo per non eludere le questioni più difficili per la corrente di sinistra della magistratura. Se la segretaria Anna Canepa nella relazione ripercorre la infelice e ormai un po’ lontana vicenda di Antonio Ingroia – è a lui che allude quando critica il «populismo giudiziario che ha visto protagonisti pm poi passati alla politica» -, nella introduzione alla sessione di lavoro sull’associazionismo giudiziario (tema caldo sia a sinistra, dove stenta la coalizione di Area, sia a destra, dove Mi ha subito una scissione) si affrontano questioni più recenti e delicate. Nel testo che servirà da base per i lavori di oggi pomeriggio (parteciperà il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, autore di una sferzata memorabile alla platea dell’ultimo congresso) si legge che «troppo spesso non siamo stati capaci di mettere in pratica ciò che abbiamo declamato e teorizzato, dalla presa di distanza da logiche spartitorie alla concretizzazione del modello di dirigente, dal rifiuto del carrierismo alla centralità della giurisdizione come strumento di garanzia per i meno garantiti».

Parole, queste ultime, dove si può cogliere l’eco di difficoltà recenti tra l’associazione che ha storicamente contrastato la tendenza a gerarchizzare gli uffici giudiziari e il procuratore capo di Milano Bruti Liberati, figura storica di Md (in platea a Reggio). Parole scritte dal giudice del tribunale di Torino Roberto Arata, e condivise dall’esecutivo di Md, che non è azzardato riferire anche alla vicenda dell’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, assai criticato per l’inchiesta Tav e protagonista di un polemico addio alla corrente. E anche Canepa nella sua relazione ha scritto «molti di noi sono diventati grandi, molto spesso anche capi, e non sempre ciò che Md aveva ereticamente teorizzato ha trovato e trova reale inveramento».

Sono passaggi destinati a restare in ombra rispetto alle urgenze della polemica politica – lo scontro con il governo sulla riforma della responsabilità civile, le preoccupazioni per la sorte delle intercettazioni, la prescrizione – ma che meritano attenzione se è vero come dice ancora Canepa che «la magistratura deve uscire dal recinto dell’autodifesa in cui è stata costretta in questi anni». Anche perché Md contrasta le scelte di Renzi, ma si trova a disagio nel ruolo di chi si oppone alle riforme. E tocca alla segretaria spiegare che «la mistica del riformismo non è certo il nostro metodo», e «si impone un’analisi del senso e della direzione di quelle riforme che investono l’architettura costituzionale, l’idea stessa di rappresentanza e diritti fondamentali come il lavoro». Da qui alla proposta del segretario della Fiom Landini (in videoconferenza) a «fare insieme molta strada» il passo è breve. Perché al di là delle critiche sui singoli punti – per Md la prescrizione andava interrotta dopo la sentenza di primo grado, sulle intercettazioni c’è il rischio del bavaglio alla stampa e la nuova legge sulla responsabilità civile aprirà la strada a «timidezze e conformismi interpretativi» – è radicale l’opposizione al renzismo come «riduzione degli spazi del confronto, della critica e del ripensamento».
Questo dice un’associazione che rivendica orgogliosamente il ruolo politico della giurisdizione. E che individua in Renzi una minaccia meno plateale – «non più accuse di voler sovvertire l’ordinamento giudiziario, non più macchina del fango» – ma più pericolosa per l’autonomia della magistratura. E nell’elenco mette anche lo strumentale «arruolamento» alla causa di governo di «magistrati che erano stati rappresentati come eroi della lotta alla criminalità». E cioè Raffaele Cantone e Nicola Gratteri.