Per la Chiesa cattolica, in particolare, la memoria è qualcosa di vivo: il costante ritorno di un passato secolare che permette di modificare il profilo dell’istituzione nel presente. Attraverso i testimoni della fede, la tradizione indica la strada del futuro e diventa strumento per affermare una linea e superare le resistenze interne.

Il breve pellegrinaggio di papa Francesco a Bozzolo e Barbiana può essere letto (anche) in quest’ottica. Che il pontefice «venuto dalla fine del mondo» avrebbe dovuto fare i conti con il cattolicesimo italiano e la sua storia era qualcosa di previsto. Dopo la recente elezione del «bergogliano» cardinale Bassetti alla presidenza della Cei, è come se fosse arrivata finalmente anche la sanzione di una svolta sul piano simbolico. Già Giovanni XXIII aveva definito don Mazzolari «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana». Con questo duplice viaggio papa Francesco ha legato al processo di riconoscimento del parroco di Bozzolo, per il quale sarà avviato in autunno il processo di beatificazione, una rivalutazione sostanziale dell’insegnamento di don Milani, definito ieri un esempio di passione educativa e di impegno civile.

Le affinità tra questi due sacerdoti sono note, ma la scelta del papa di tenere insieme le due biografie si spiega soprattutto nella convergenza nel modello del prete «obbediente in piedi», profeta scomodo per l’istituzione e segno di un avanzamento per la Chiesa del domani. Parlando di “magistero dei parroci” («che fa tanto bene a tutti»), il papa ha quindi espresso la sua preferenza per un certo tipo di sacerdozio che ha fatto la storia del cattolicesimo italiano già negli anni del pontificato di Pio XII.

Nella storiografia religiosa si tende solitamente a parlare di una “semina” a cui sarebbe seguita la “fioritura” del Concilio Vaticano II. In realtà, il percorso verso l’accettazione della modernità fu molto più tortuoso, disseminato di continui passi indietro e, soprattutto, pagato spesso a caro prezzo dai promotori del cambiamento. Mazzolari e Milani hanno scontato con l’isolamento la scelta di sposare parole d’ordine che sarebbero diventate magistero corrente nei decenni a seguire: dal sostegno all’obiezione di coscienza, a quell’opzione preferenziale per i poveri che ispira oggi tutta l’azione di Bergoglio.

Meno frequentemente, si ricorda che, in modi diversi, entrambi hanno veicolato un messaggio molto chiaro di denuncia dei ritardi della società italiana, delle stortura derivanti dal connubio tra fede, potere spirituale e potere politico negli anni più intensi della campagne contro il pericolo comunista. “Adesso” la rivista di Mazzolari, oggetto degli attacchi da parte del Sant’Uffizio, fu la fucina teorico-intellettuale di tutti i credenti più a disagio nell’Italia democristiana. Milani, come ha ricordato anche ieri il papa, credeva che il riscatto potesse passare solamente da un’azione collettiva che sarebbe dovuta partire dalla restituzione della parola agli ultimi; un impegno educativo, certo, ma la cui politicità non sfuggiva davvero al parroco di Barbiana, che dopo aver lottato contro la curia fiorentina, avrebbe passato i suoi ultimi giorni a organizzare la propria difesa in un tribunale che lo voleva condannare per apologia di reato.

Il principale punto di congiunzione tra questi due protagonisti della storia recente della Chiesa si trova allora nella convinzione che senza una riforma radicale dell’istituzione ecclesiastica, alla quale entrambi rimasero sempre fedeli, ma più in profondità della stessa comprensione del Vangelo, qualsiasi sforzo della Chiesa per cambiare il mondo sarebbe stato vano. Con la visita di ieri papa Francesco ha confermato di condividere la stessa visione lanciando così un ulteriore messaggio di discontinuità rispetto alla storia recente della Chiesa dei “valori non negoziabili” in politica, e alle opposizioni ancora diffuse nel cattolicesimo italiano, dalle parrocchie alle più alte sfere.