Quando nelle notti dell’estate 2006 cominciano i bombardamenti israeliani su Beirut, Mazen Kerbaj, dalla metà de ’90 uno degli iniziatori della scena dell’improvvisazione radicale libanese, ha l’idea di registrarsi alla tromba sul balcone di casa sua assieme al fragore delle esplosioni. Nessuna posa eroica: abitando in un quartiere cristiano Kerbaj sa benissimo che i bersagli degli israeliani sono altri. Piuttosto un modo per non stare con le mani in mano mentre le bombe piovono, una forma di esorcismo della guerra. Poi Kerbaj mise in rete un estratto di queste registrazioni con il titolo Starry Night, indicando ironicamente come crediti: Mazen Kerbaj, tromba; l’aviazione militare israeliana, bombe. L’iniziativa fece il giro del mondo e non mancò di suscitare polemiche. «Un inglese – ci raccontò all’epoca Kerbaj – mi ha mandato un’e-mail: non pensi che sia di cattivo gusto ? Gli ho risposto: non pensi che di cattivo gusto sia piuttosto sganciare bombe sui bambini di un villaggio? E a chi mi ha accusato di opportunismo, di volermi fare un nome, ho detto: c’è posto per tutti, perché non provate a venirci voi a Beirut mentre bombardano?». Anche disegnatore, Kerbaj durante la guerra del 2006 tenne un magnifico blog: le sue vignette sono state poi raccolte in un volume. In dicembre Kerbaj si è esibito a Milano, al Mudec, nell’ambito della rassegna Mash#, in duo con all’elettronica un altro musicista sperimentale libanese, Rabih Beaini. Intanto a cavallo fra novembre e dicembre a Berlino, dove Kerbaj si è trasferito da un anno e mezzo, la Akademie der Künste ha proposto la sua installazione sonora Before the war, it was the war. After the war, it is still the war. realizzata con le registrazioni del 2006. Da libanese di Beirut Est, tra il francese e l’inglese Kerbaj preferisce parlare in francese.

Come mai la scelta di trasferirti a Berlino ?

Ho avuto una residenza d’artista di un anno, con salario e una buona casa, sono venuto con la mia famiglia e ci siamo detti che se fosse stato possibile restare anche dopo saremmo rimasti. Ci sono diversi motivi insieme. Naturalmente ho viaggiato molto, ma ho studiato e ho sempre vissuto a Beirut, e io e la mia generazione siamo abituati e non è un problema, ma ho tre bambini e non volevo che continuassero a stare in una situazione totalmente instabile, con un avvenire confuso non solo per via della guerra o dei rischi di guerra, o del pericolo degli attentati, ma soprattutto a causa della corruzione: è un paese supercorrotto, in cui lo stato si fa derubare in continuazione. Come artista poi è formidabile avere un’opportunità di cambiamento, ed è eccellente che sia a Berlino piuttosto che a Parigi o a Roma o a New York, perché Berlino è davvero una specie di mecca della musica improvvisata.

La scena dell’improvvisazione libanese però si è consolidata…

Sì il nostro festival Irtijal, che facciamo dal 2000, è molto cresciuto, e si è aperto a molte più cose, non più solo free jazz e musica improvvisata, ma a tutte le musiche sperimentali, quindi musica contemporanea composta, musica elettronica, e il pubblico è molto più ampio. Ma a Beirut continuiamo ad essere fra i sette e i dieci a suonare questo genere di musica, e quindi la scelta su con chi suonare e che cosa fare è veramente limitata: per esempio continua a non esserci un solo percussionista di area improvvisativa. Invece a Berlino se voglio suonare con un contrabbassista, ce ne sono quindici, intendo quindici molto bravi, e devo solo scegliere quale e provare. A Berlino poter suonare con così tanti buoni musicisti, poterne ascoltare così tanti, mi mette in una condizione di emulazione che mi spinge a migliorarmi. A Beirut abbiamo un pubblico fantastico, ma se faccio tre concerti, al quarto ci sarà chi dirà che quella roba l’ha già sentita tre mesi fa: a Berlino arrivo a fare sei-sette concerti al mese, e anche suonare così spesso mi costringe a provare delle cose nuove, a mettermi in gioco. Torniamo in Libano per il festival, e durante l’estate in modo che i bambini mantengano il rapporto con Beirut e con i nonni.

Come hai concepito l’installazione ?

Quando raccolsi in un libro le vignette che avevo disegnato durante la guerra del 2006, per me era importante metterle tutte, anche quelle che avrei tolto o avrei voluto ridisegnare perché non erano abbastanza buone: ma volevo dare l’insieme, per mostrare il caos che si crea nella testa di un artista in momenti del genere. L’idea di fondo dell’installazione è stata la stessa. Sono dodici ore di registrazioni, a volte il suono è cattivo, a volte c’è del vento, dei disturbi, a volte la registrazione è noiosa, magari c’è un’ora passata a chiacchierare davanti ala televisione. Ma non ho voluto selezionare: se avessi messo solo le sequenze con la tromba e le bombe, o quello che può essere più «eccitante» per la gente, si sarebbe perso l’insieme. Visto che le registrazioni erano state fatte nel mio appartamento, alcune nel soggiorno, con la televisione, altre in camera da letto, e altre ancora sul balcone come Starry Night, le ho distribuite di conseguenza in uno degli appartamenti che la Akademie der Künste utilizza per ospitare gli artisti. In soggiorno e in camera da letto ci sono degli altoparlanti, sul balcone si ascolta in cuffia: è come essere a casa mia a Beirut.

Che reazioni hai avuto?

Di una installazione sonora di solito ti fai un’idea in dieci minuti e poi te ne vai. Invece molti si trattenevano a lungo, e molti sono tornati più volte. All’80 per cento non si sentono bombe, ma chiacchiere con gli amici in francese, inglese e arabo, la tv, la mia fidanzata che parla, ad un certo punto c’è un litigio perché non c’è più birra in frigor. Quotidianità anche banale, però intanto c’è la guerra. Molti mi hanno detto che era emozionante, e anche pesante, che era come entrare nell’intimità di un altro, nell’intimità di qualcuno che vive la guerra.

Probabilmente Berlino, che come Beirut ha conosciuto la distruzione della guerra e la divisione tra est e ovest, avrà aggiunto una suggestione particolare…

In effetti essere sul balcone e vedere Berlino 2016 e ascoltare Beirut 2006 faceva un certo effetto. Sono contento di essere a Berlino, dove puoi guardare a tutto questo essendo praticamente sicuro che si tratta di qualcosa del passato, o in ogni caso non dell’immediato futuro. Mentre a Beirut è il contrario, si è cercato di cancellare al più presto i segni della guerra per fare come se non fosse successo niente, ma la prossima guerra potrebbe essere domani, e fai fatica a fare progetti per l’anno prossimo.