Non c’è un «dove», nemmeno un «quando». Solo persone che combattono la guerra a modo proprio, cercando di restituire dignità a un padre vigliacco e deriso, provando a sopravvivere accanto a una mucca in un cinema che cade a pezzi. Scenari apparentemente lunari, eppure così vividi da confondere chi legge. Barzellette per miliziani (Sellerio Editore, pp. 160, euro 15, traduzione di Barbara Teresi) è una raccolta di brevi racconti che Mazeen Maarouf affida al pubblico quasi come un testimone nella drammatica staffetta dei conflitti che dilaniano il Medio Oriente.

Nato a Beirut da una famiglia di profughi palestinesi, Maarouf ha insegnato chimica e fisica nelle scuole prima di dedicarsi anima e corpo alla scrittura, in particolare alla poesia. Pubblicato per la prima volta nel 2015, Barzellette per miliziani è infatti il suo esordio letterario in prosa, insignito nel 2016 del maggiore riconoscimento per i racconti nel mondo arabo, l’al Multaqa Prize.

Prima, c’erano state tre raccolte di versi (I passeri non vengono in fotografia, Come se il nostro dolore fosse pane, Un angelo sul filo del bucato), le cui poesie sono state tradotte dall’arabo in inglese, francese, spagnolo, tedesco e persino cinese. Maarouf, che dal 2011 vive tra Beirut e Reykjavík, dove è stato accolto dalla rete Icorn (International Cities of Refuge Network), ci consegna dodici storie brevi fatte di personaggi senza nomi e senza volti, altrettanti spaccati di vita che potrebbero raccontare l’America Latina e il Sud est asiatico, ma anche l’Africa profonda.

Come nella grammatica della poesia, anche la prosa di Maarouf ha attributi visionari e metaforici, il cui predominio è possibile grazie all’assenza di dettagli descrittivi. Poi ci sono le stranezze dei personaggi, le cui storie potrebbero sembrare insignificanti, ma la cui bizzarria le rende simboliche: dal macellaio che fino al giorno della morte si ostina a vestirsi da matador e ogni mattina uccide una mucca a mani nude; c’è la coppia che tiene un coagulo di sangue in un acquario per allevarlo come un figlio.

Eccentrica e a tratti macabra: ecco come potrebbe essere aggettivata la potenza narrativa di Maarouf, che ha tutta la forza del Medio Oriente e l’eleganza stilistica del Nord Europa. È un duro compito quello del lettore che si avventura in sua compagnia: all’iniziale impenetrabilità delle storie, si somma – con solo qualche istante di scarto – la sensazione di disagio, di straniamento che proviene dal turbine di fatti che accadono in ciascuna pagina. Tuttavia, l’eredità più grave è il vuoto di senso dell’ultima, quando il lettore si domanderà inevitabilmente: cosa avrà voluto dirmi?