Brexit, May sempre più in difficoltà. La Ue propone un’altra proroga
Consiglio europeo La Ue attende «qualcosa di fresco» dalla Gran Bretagna: «Ci vuole più tempo», secondo il negoziatore Ue Michel Barnier, per trovare una via d'uscita agli scogli che restano, tasse su beni e servizi, e soprattutto la questione irlandese. Il rischio di sconvolgere gli accordi di pace del Good Friday. Per Merkel, sul 90% c'è già accordo tra Bruxelles e Londra
Consiglio europeo La Ue attende «qualcosa di fresco» dalla Gran Bretagna: «Ci vuole più tempo», secondo il negoziatore Ue Michel Barnier, per trovare una via d'uscita agli scogli che restano, tasse su beni e servizi, e soprattutto la questione irlandese. Il rischio di sconvolgere gli accordi di pace del Good Friday. Per Merkel, sul 90% c'è già accordo tra Bruxelles e Londra
Theresa May resta senza cena a Bruxelles, dopo aver cercato di convincere i 27 della buona volontà britannica di cercare un accordo per evitare che la Brexit si concluda con un pericoloso (per tutti) no deal. La premier britannica ha aperto ieri un Consiglio europeo molto teso, con un discorso ai partner, la cui durata era stata stabilita in anticipo in 30 minuti, non uno di più. Poi, i 27, che si aspettavano qualcosa «di fresco» da May, hanno discusso attorno alla tavola, senza di lei. Il Consiglio di Bruxelles rimanda a una data ulteriore – metà novembre con un summit speciale oppure il 12-13 dicembre – per concludere eventuali accordi definitivi.
Ieri, è stato il momento della drammatizzazione sulla Brexit. Il tempo stringe, mancano poco più di 5 mesi dalla data-chiave, la mezzanotte del 29 marzo 2019 (e ci vuole il voto dell’europarlamento e del parlamento britannico). Secondo Angela Merkel un accordo è stato concluso sul 90% dei punti in discussione. Ma per le divergenze restanti «ci vuole più tempo», afferma il negoziatore Ue, Michel Barnier: riguardano la tassazione sui beni e servizi dopo l’uscita della Gran Bretagna e, soprattutto, la questione dell’Irlanda, il «nodo gordiano» del negoziato secondo il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk. Ma manca un Alessandro il Grande per risolvere la situazione ed evitare i rischi che arrivano persino a una ripresa della guerra civile: negli accordi del Good Friday del ’98, la clausola della soppressione della frontiera tra le due Irlande è essenziale. L’Irlanda è un rompicapo, perché o la Gran Bretagna accetta di oltrepassare le «linee rosse» che ha posto per l’accordo oppure dovrà piegarsi a una divisione territoriale, con una frontiera interna al Regno unito nel Mar d’Irlanda.
La Ue propone un backstop, una rete di salvataggio temporanea per uscire dall’impasse: l’Irlanda del Nord resterebbe allineata sulle norme Ue per i beni (compresi quelli agricoli), per poter assicurare degli scambi fluidi, in attesa di trovare una soluzione definitiva. Ma qui c’è il «no» degli unionisti del Dup, l’alleato nord-irlandese di May, pilastro indispensabile per il suo governo (10 deputati). La Ue propone allora un’altra versione di backstop temporaneo: tutta la Gran Bretagna resta nell’Unione doganale.
Ma qui c’è il «no» dei brexiters, che hanno promesso un futuro roseo di liberi accordi con il resto del mondo per una Gran Bretagna finalmente liberata dalle catene Ue. Boris Johnson, ex ministro degli Esteri, tuona: May accetta l’annessione dell’Irlanda del Nord a una potenza straniera (la Ue). Theresa May sarebbe pronta ad accettare un’Unione doganale temporanea, ma dovrà lottare in patria per far votare un accordo in questa direzione (nel governo ha 8 ministri decisamente anti-Ue, in Parlamento i suoi Tory potrebbero farle lo sgambetto, il Labour è anch’esso spaccato, Jeremy Corbyn propende per far cadere May e andare alle elezioni sperando di vincere, mentre una frangia dei laburisti potrebbe appoggiare un accordo con la Ue).
Per questo Barnier dice che «ci vuole più tempo»: il negoziatore ha proposto persino di spostare nel tempo la data-capestro del 30 marzo 2019, per evitare lo spettro del no deal, cioè da quel giorno code di camion alle frontiere, rischi di penurie varie in Gran Bretagna, problemi nei trasporti ecc.
Il periodo di transizione, fissato fino al 31 dicembre 2020, potrebbe venire allungato, anche di un anno (Barnier). Ieri, Angela Merkel di fronte al Bundestag ha spiegato che la Germania si prepara al no deal, anche se non lo auspica. Stessa situazione in Francia, che già sta preparando i porti del nord allo choc di un Brexit duro. Per Merkel, dovrà comunque essere ben chiaro che c’è «una differenza tra essere paese membro della Ue e una partnership con un paese terzo».
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