Un nuovo sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente di 8 miliardi e 100 milioni di euro sui beni della Riva Fire spa, che sino a gennaio controllava ufficialmente l’Ilva Spa, e 16 indagati per reati ambientali, tra cui Emilio Riva, i figli Nicola e Fabio, gli ex direttori dello stabilimento tarantino Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, e l’attuale presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante. E’ il nuovo provvedimento emesso ieri dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, dopo aver accolto l’istanza avanzata dal pool dei pm guidato dal procuratore capo Franco Sebastio, che cura l’inchiesta penale iniziata nel 2009 e che ha visto i primi provvedimenti nel luglio scorso.

La somma sequestrata è stata stimata dai custodi giudiziari incaricati dall’autorità giudiziaria, che hanno giudicato in 8 miliardi appunto, il costo necessario a risanare gli impianti e le aree dell’Ilva gravemente contaminate dall’inquinamento, e quindi il gip ha disposto i sigilli su beni per questa cifra affidandone la custodia ad un amministratore: Mario Tagarelli, l’ex presidente dell’Ordine commercialisti di Taranto. Nel caso specifico, la magistratura coadiuvata dalla Guardia di Finanza, ha applicato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità giuridica di impresa che dal 2011 è stata estesa anche ai reati ambientali.

«Operavano e non impedivano con continuità e piena consapevolezza una massima attività di sversamento nell’aria-ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne dello stabilimento, nonché rurali e urbane circostanti lo stesso»: questa l’ipotesi di reato avanzata dal gip a carico degli indagati. Il complesso delle condotte descritte, per il gip sono state funzionali al perseguimento «di un programma criminoso idoneo ad assicurare allo stabilimento Ilva di Taranto il conseguimento dei profitti derivati dalla prosecuzione tout court dell’attività produttiva nella piena consapevolezza della pericolosità ed anzi della concreta devastazione dell’ambiente e della concreta e gravissima lesione inferta continuativamente alla salute di lavoratori e dei cittadini». Profitto ottenuto anche attraverso «semplice risparmio nei costi di produzione». Da tutto questo è derivato «un complessivo, concreto e assai ingente vantaggio» per le società Ilva spa e la controllante Riva Fire, «consistente nell’ingentissimo risparmio economico delle stesse realizzato attraverso la intenzionale, pervicace omissione nell’esercizio dell’attività produttiva industriale, degli onerosi interventi» – misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell’ambiente e della pubblica incolumità – «che le norme dell’ordinamento, i vari atti di intesa stipulati con gli enti pubblici e i provvedimenti delle autorità competenti imponevano di eseguire». Infine, la mancanza all’Ilva di un «adeguato modello organizzativo e gestionale» della sicurezza, con riferimento anche agli aspetti di tutela ambientale, crea una «situazione critica per la tutela della salute dei lavoratori» e ha rappresentato una «concausa non trascurabile» degli incidenti verificatisi nello stabilimento di Taranto negli ultimi mesi alcuni dei quali costati la vita a tre operai.
E’ bene precisare che l’ultima iniziativa della Procura di Taranto, non riguarda però l’attività dello stabilimento siderurgico. Esso è infatti «protetto» dalla legge 231/2012 che ne autorizza l’esercizio, che non sarà intaccato da questo nuovo provvedimento. Lo ha voluto precisare lo stesso procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio: «La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l’impatto ambientale della fabbrica». Legge ‘salva-Ilva’ duramente attaccata nel gip nel provvedimento, nel quale si legge che la stessa è stata varata «senza esigere garanzie finanziarie a sostegno degli investimenti e senza che sia stato presentato dall’azienda un piano di ripristino ambientale». Allo stato attuale, «non si ha evidenza di alcuna iniziativa intrapresa dalla società al fine di ottemperare alle disposizioni prima impartite dai custodi e poi, in parte, confermate dal Decreto di riesame Aia del 26 ottobre 2012».

Provvedimento che «non prevede alcuna pianificazione economico-finanziaria dei predetti interventi. Motivo per cui lo stesso, allo stato attuale, oltre a non risultare congruo in termini temporali (sono previsti tempi estremamente lunghi in considerazione dell’attualissimo problema sanitario-ambientale) non dà alcuna garanzia di realizzazione, non avendo la società, allo stato e per quanto espresso, disponibile una adeguata copertura economica».
La situazione, dunque, è in continua evoluzione. Non a caso oggi è stato convocato il cda dell’Ilva, visto che il sequestro ha riguardato anche alcune azioni della società.