Il rimpasto di governo annunciato da Bolsonaro, con ben sei cambi in ministeri chiave dell’esecutivo (Difesa, Esteri, Giustizia, Casa civile, Avvocatura generale dello stato e Segreteria di governo), non lascia presagire nulla di buono. A far discutere sono in particolare le dimissioni dal ministero della Difesa del generale Fernando Azevedo e Silva, a cui è subentrato il generale Walter Souza Braga Netto, finora ministro della Casa civile. Una sostituzione che suona come un chiaro avvertimento ai militari moderati meno inclini a sostenere le iniziative autoritarie del presidente.

Se infatti Azevedo e Silva ha pagato la sua presa di distanza da un eventuale ricorso alle misure di eccezione evocate da Bolsonaro in funzione anti-lockdown, Braga Netto si è subito piegato al volere del presidente, rimuovendo in un colpo solo i tre comandanti delle forze armate: Edson Leal Pujol (Esercito), Ilques Barbosa (Marina) e Antônio Carlos Bermudez (Aeronautica).

CHE BOLSONARO VOLESSE sbarazzarsi di Pujol era ben noto: a non andargli giù è stato, in particolare, il rifiuto del generale di pronunciarsi contro l’annullamento delle condanne di Lula. A cui si è pure aggiunto, tanto per accrescere l’irritazione del presidente, l’affronto di offrirgli il gomito anziché la mano durante una visita.

Al suo posto, il presidente vuole una figura pronta a difendere il governo e a intimidire gli avversari, come aveva fatto a suo tempo, e in maniera così efficace, il generale Eduardo Villas Bôas, quando, nel 2018, non aveva esitato a minacciare velatamente l’intervento dei militari in caso di sentenza della Corte Suprema favorevole a Lula.

Non è un caso che, parlando di recente a un gruppo di sostenitori, Bolsonaro si sia riferito all’esercito come a qualcosa di suo – «il mio esercito», «le mie forze armate» – intendendolo come una sorta di strumento personale di potere. E ciò in un momento in cui, con oltre 3mila morti di Covid al giorno, i militari temono – a ragione – di venire associati, anche dopo la rimozione del generale Pazuello dal Ministero della salute, al genocidio in corso.

IN QUESTO QUADRO, passa pure in secondo piano la bella notizia delle dimissioni di Ernesto Araujo, ritenuto il peggior ministro degli Esteri della storia del Brasile. Grande ammiratore di Donald Trump e negazionista climatico, Araujo è riuscito in appena due anni a distruggere il prestigio di cui godeva la diplomazia brasiliana, condannando il paese all’isolamento internazionale, minando le relazioni con i suoi principali partner commerciali e ostacolando in tutti i modi l’acquisto di vaccini.

Elemento chiave della cosiddetta “ala ideologica” del governo – con i suoi ingredienti di neofascismo politico e di fondamentalismo religioso -, Araujo sapeva di avere i giorni contati, scontrandosi con la crescente ostilità dei presidenti della Camera e del Senato, Arthur Lira e Rodrigo Pacheco, esponenti di quel Centrão a cui il presidente è costretto a fare concessioni per evitare l’impeachment.