«E se davvero arrivasse Brubaker a capo del Dap?». La foto di Mauro Palma, presidente del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale e consigliere del ministero di Giustizia, campeggia accanto al titolo sul sito del Sappe. Ed è una notizia perché, a pochi giorni dal Consiglio dei ministri del 29 agosto nel quale dovrebbe essere nominato il nuovo capo dell’amministrazione penitenziaria – posto vacante dal 27 maggio – a raccogliere la proposta lanciata sul manifesto dall’associazione Antigone è addirittura il sindacato di polizia penitenziaria che più volte si è trovato su posizioni opposte. «Ci vuole un uomo che sappia dove portare questa amministrazione», spiega il segretario generale del Sappe, Donato Capece. «Dopo tanta approssimazione, c’è bisogno di un esperto, non necessariamente un magistrato o un dirigente interno, ma una persona illuminata».

Un riformista ma anche un visionario, come il personaggio interpretato da Robert Redford incaricato, nel film citato, di riformare il sistema carcerario dell’Arkansas?

Il carcere come è oggi è un’istituzione superata. Il Dap ha bisogno di un capo deciso, che, una volta ricevute dal governo precise indicazioni, abbia però le idee chiare di come cambiare il sistema. E abbia la forza politica per farlo.

Autorevolezza interna all’amministrazione o appeal esterno?

Interna: una persona che conosca bene il carcere e la sua amministrazione. Ma soprattutto che possa condividere a pieno con il ministro un progetto che stravolga l’attuale assetto penitenziario. Per capirci: braccialetti elettronici e altro sono solo palliativi…

Il precedente capo, il dott. Giovanni Tamburino, non era la persona giusta?

Sarà un ottimo magistrato ma ci ha completamente affossati, dimostrando gravi lacune. Insieme ai suoi vice, Pagano e Cascini, sia pure con posizioni diverse, aveva idee secondo noi molto confuse sulla cosiddetta “vigilanza dinamica”. Sostenevano che le celle dovevano rimanere aperte durante il giorno senza preoccuparsi di cosa far fare ai detenuti. Noi siamo d’accordo, purché per i reclusi si trovi un’occupazione, lavorativa o trattamentale. E la polizia, allora, deve rimanere fuori da questo circuito, intervenendo solo in situazioni critiche.

Il consigliere Cascini aveva supportato la nostra idea che il detenuto dovrebbe meritarsi lo sconto di pena partecipando alla vita penitenziaria, e non come è ora solo con la cosiddetta buona condotta. Tamburino e Pagano, per la legge del contrappasso, invece avevano chiuso il poliziotto nelle postazioni di guardia. Hanno creato molta confusione, mostrandosi dilettanti. La loro idea di vigilanza si è rivelata fallimentare, come dimostra l’alto numero di suicidi e di situazioni critiche che continuano a verificarsi…

I nomi che circolano come papabili dirigenti del Dap sono Giovanni Melillo, procuratore aggiunto di Napoli, e Giovanni Salvi, procuratore di Catania. Non vi convincono? Perché appoggiate Mauro Palma che sulla vigilanza non ha proprio le vostre idee e vorrebbe un carcere meno “infantilizzante” nei confronti del detenuto?

Melillo, come capo gabinetto ha governato indirettamente il Dap in questi mesi e dunque oggi conosce bene i problemi del carcere. Di Salvi non sappiamo molto. Bisogna però fare in fretta perché così il Dipartimento è allo sbando. Il governo sostiene che l’emergenza carceri è parzialmente risolta, noi siamo convinti di no. Con Antigone abbiamo due mission e due visioni diverse del carcere: loro lo vogliono senza sbarre e noi più sicuro, perché i cittadini chiedono questo, a noi operatori della sicurezza. Il professor Palma è uno studioso, ha lavorato con la ministra Cancellieri e conosce il mondo penitenziario, anche se proviene da Antigone. Pensiamo che la filosofia del “povero” detenuto vada abbandonata ma Palma è fortemente convinto delle misure alternative e ha più volte dimostrato che tiene alla dignità della polizia penitenziaria, che si è fatta carico di tutte le criticità. Con lui potremmo fare un percorso alternativo e forse è proprio lui l’uomo che potrebbe restituire dignità al nostro Corpo, attraverso la riforma della polizia penitenziaria.

Cosa deve contenere questa riforma?

Un carcere più automatizzato, più tecnologia e soprattutto uomini e donne più motivati e realizzati. Non chiediamo un aumento salariale né di rivedere il contratto, ma una migliore formazione. Soprattutto per i dirigenti, che oggi non hanno alcuna cognizione di cosa sia il governo del personale e sono diventati anche loro “nemici” della polizia penitenziaria, capaci solo di fare gli inquisitori e non di essere dei punti di riferimento. Noi abbiamo bisogno di questo.