I gesti sono importanti. Le mani di Andris Nelsons trattenute in alto, reggono la bacchetta sull’accordo finale della terza sinfonia di Brahm: si fa silenzio e negli occhi di molti fugge un’ombra, un volto che sorride e scompare. Dopo un interminabile minuto, non richiesto né concordato, prorompe l’applauso liberatorio. Il volto di Claudio Abbado campeggia ovunque al Festival di Lucerna, la creatura cui ha dedicato le energie dell’ultimo decennio di vita e che gli dedica l’intera stagione.

Nelsons, trentaseienne lettone, carriera internazionale lanciatissima e prossimo ad approdare alla Boston Symphony Orchestra è dato come probabile successore alla guida dell’Orchestra di Lucerna. Quest’anno ha preso il posto del rifondatore del Festival (nato nel 1938 dalla spinta ideale di Arturo Toscanini) nel programma di apertura e nel concerto di domenica 24 che, accanto a una terza di Brahms mirabile per equilibrio, compattezza di suono e luminoso fermento di colori, vedeva protagonista Maurizio Pollini nel Primo Concerto di Chopin.

Esecuzione impeccabile quanto sofferta, che fondeva la commozione dell’omaggio – la Romance aggrondata di composta, struggente malinconia – e l’impegno del maturo solista a non essere né secondo né replica di quel Pollini che il mondo ha conosciuto cinquantaquattro anni fa, in quella fatidica esecuzione dello stesso concerto al concorso di Varsavia. Poi la ballata n 1, scolpita dal fraseggio ritenuto e dolente, increspata da bagliori rabbiosi. Un’altra, clamorosa standing ovation aveva accolto poche ore prima il recital di Lang Lang (posti esauriti da settimane), in programma tre sonate di Mozart (nn.4,5,8) , e le quattro ballate di Chopin, seguite un diluvio di bis, da Schumann a Ponce, dalla danza cubana alla Marcia Turca trasformata in trucco da prestigiatore.

Si sono sfiorati i due pianisti, il figlio di Mao che ha conquistato l’Occidente e ha fatto esplodere il fenomeno pianoforte in Cina, riappropriandosi in chiave contemporaneo-pop del mito del virtuoso ottocentesco, e il pianista euroepeo intellettuale, campione della musica comporanea, che accanto a Nono e Abbado ha vissuto stagioni accese di trasporto umano e ideologico nel far musica, e ne ha persino distillato uno stile.

Forse qualcuno avrebbe voluto che nell’incrociarsi si fossero anche scambiati i programmi, visto che Lang Lang non ha trovato una chiave interpretativa all’altezza del suo indiscutibile dominio tecnico per Mozart, sospeso fra narcotizzanti lentezze e esibizione funambolica. Sfarzose e trascinanti invece le Ballate di Chopin. I gesti sono importanti, e i due fazzoletti – il proprio e un secondo offerto alla bisogna – madidi di sudore e lanciati al pubblico fra le ovazioni finali valgono più di mille parole.
Sabato 23 l’orchestra e il coro dell’Accademia del Festival di Lucerna hanno offerto, guidati da Simon Rattle, una lettura di toccante bellezza di Coro di Luciano Berio, capolavoro di densità tale per voce e orchestra della coreana Unsuk Chin, ascoltato in prima assoluta. Barbara Hannigan, per le cui virtuosistiche doti il pezzo è stato ideato, ha cavalcato la sarcastica girandola sonora su testo di Joyce con voce cristallina, nonché classe e presenza di seducente magnetismo.