È mancato un anno fa Maurizio Matteuzzi, filosofo del linguaggio e dell’intelligenza artificiale, attivista e collaboratore di questo giornale.

Docente presso l’Università di Bologna, aveva dedicato lavori fondamentali alle logiche ‘post-hegeliane’ e alle filosofie della mente.

È stata la comune militanza nel movimento contro la riforma Gelmini l’occasione del nostro primo incontro. Maurizio, che era stato tra i promotori del gruppo bolognese dei «Docenti Preoccupati» e aveva testimoniato con un impegno coerente la sua vicinanza ai collettivi, portò nel movimento un’energia nuova. I suoi convincimenti profondi erano senza mediazioni, anche quando impopolari perché estranei a ogni conformismo di sinistra (non ostentava repulsione verso la nozione di ‘maestro’ nel sistema universitario). Né si concedeva mai alibi: «Non poter dire tutto non è una buona ragione per non dire niente» mi disse una volta. Chiunque abbia condiviso quei mesi di battaglie oscure all’interno degli atenei ha conosciuto l’intelligenza arguta dell’uomo e dello studioso, l’assoluta mancanza di snobismo culturale che accompagnava la sua raffinatissima dottrina (dalla filosofia antica, coltivata con rara passione, alla storia della matematica), la generosità con cui metteva in comune le sue inesauribili conoscenze senza mai farne una rendita privata: per Maurizio nulla era troppo prezioso da non poter essere spiegato a tutti.

Dopo la sconfitta bruciante del movimento, costruimmo insieme l’esperienza dell’assemblea nazionale Università Bene Comune, un laboratorio di idee e di pratiche, condiviso con il mondo della scuola, promotore di iniziative importanti come il questionario contro l’abolizione del valore legale del titolo di studio, alternativo alla consultazione del ministro Profumo. Fu allora che Maurizio, con un atto di generosità straordinaria, accettò di garantire spazio e credibilità all’esperienza bolognese di Coalizione Civica, sottoponendosi volontariamente, già provato dalla malattia, a un impegno estenuante. E intanto continuava a chiedermi di ricerche e libri da finire e continuavamo a parlare di persone, politica, scuola e università, con una fedeltà senza rimorsi a ciò che si è scelto di amare. Mi è capitato poche volte di essere in disaccordo con lui e in quei rari casi confesso di aver pagato un prezzo altissimo non perché lui facesse mai pesare la sua autorevolezza culturale e umana, ma perché risultava intollerabile infliggergli una delusione: il disaccordo con le persone cui voleva bene lo rendeva triste come un bambino e lo portava a macerarsi e a interrogarsi sui suoi limiti e sulle ragioni degli altri. Il rispetto che riservava agli studiosi più giovani e agli studenti era lo stesso che offriva agli studiosi affermati: curava con una dedizione senza condizioni tutti quelli che entravano in contatto con lui perché ogni sforzo degli altri andava sostenuto e incoraggiato senza alcuna avarizia. E la sua presenza era sempre gentile, di una gentilezza che si misurava nell’attenzione che prestava alle cose non sue di cui si parlava.

A chi non lo ha conosciuto Maurizio ha lasciato una porta di accesso alla sua immaginazione attraverso la deliziosa sequenza on line dell’Arcivernice: straordinario condensato di conoscenza filosofica e impegno civile. Di struggente intensità la puntata sul buio e la luce. Non c’è rifugio e non c’è ritorno dalle tenebre. L’interruzione del rapporto è definitiva. Maurizio sa trasmettere la non reversibilità in una lingua insieme intima e potente, come di chi sappia trovare all’intollerabile un posto nella bellezza: «Ormai era venuto il buio; i tratti di Nagel si potevano intravedere appena alla fioca luce pallida della luna. Ma Ramon viveva una strana inibizione ad accendere la luce. Gli sembrava quasi di cancellare un mondo».