Poeticamente inaspettata. Così si potrebbe descrivere la spiazzante mostra Breath, Ghosts, Blind di Maurizio Cattelan che dopo undici anni torna a esporre a Milano, all’HangarBicocca fino al 20 febbraio 2022. Nell’immenso spazio l’artista ha installato solo tre opere, disorientando tutti: Cattelan non ha paura del vuoto e non ha l’ansia dell’accumulo, non ha più bisogno di far vedere tutto ciò che ha realizzato (lo aveva già mostrato al Guggenheim di New York nel 2011 con All).

QUESTA VOLTA L’IRRIVERENZA ha lasciato il posto all’introspezione, si è parlato di un Cattelan maturo, lo si potrebbe definire più profondo, certamente per nulla ironico ma sempre abile conoscitore della storia dell’arte e delle modalità con cui appropriarsene.
L’esposizione si apre con una scultura in marmo di Carrara di un bianco candido, esaltato da un’illuminazione teatrale (impeccabile e studiatissima anche nel resto del percorso) che la rende quasi eterea, proprio come un respiro, quel Breath che è appunto il titolo dell’opera stessa.

LA SCULTURA RAFFIGURA due esseri, un uomo col volto di Cattelan e un cane, stesi a terra uno di fronte all’altro in posizione fetale con gli occhi chiusi e i visi distesi, probabilmente addormentati. Il materiale più nobile e resistente utilizzato nella statuaria diventa così quasi evanescente e la prospettiva di monumentalità con cui viene generalmente impiegato è contraddetta dalla rappresentazione di un soggetto che non ha nulla di solenne.
Nella lunga e ampia navata dello spazio invece s’incontrano i fantasmi grigi di Ghosts (seconda tappa di questo percorso espositivo).
In questo caso l’artista ha scelto di posizionare migliaia di piccioni in tassidermia sullo scheletro metallico dell’hangar, un’opera che aveva già proposto alla Biennale di Venezia nel 1997 (con un titolo diverso, Turisti, e in versione molto ridotta rispetto ad oggi), come uno spettro che non può che arrivare dal passato, appunto. Lo spazio del camminamento è vuoto e prevalentemente buio, le luci anche qui rafforzano, attraverso le ombre proiettate e la semi oscurità, il concetto che sta alla base dell’installazione.

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ATTRAVERSANDO LA NAVATA inoltre non si può non pensare al fatto che si tratti di un luogo fortemente connotato, con un passato importante, un luogo di memoria, che chissà, se non fosse stato rifunzionalizzato e deputato all’arte potrebbe far da riparo a colonie di volatili di città.
Usciti dalla penombra della navata, all’ingresso dello spazio del cubo, si torna a vedere la luce ma non c’è nulla di edificante in questo perché qui incombe accecante (come un oggetto che appare in controluce in un incubo) Blind, un enorme parallelepipedo nero in cui è incastonato un aereo. Le dimensioni monumentali (ma non i materiali, perché a differenza dalla prima opera qui il marmo non è stato utilizzato) fanno pensare a un memoriale, perché inevitabilmente la mente torna universalmente alle immagini della strage dell’11 settembre di 20 anni fa.

INSOMMA, sembra di muoversi in un mondo onirico, in un sogno angoscioso, che cromaticamente parte dal bianco candido e leggero del respiro, passa per le ombre grigie del passato e si conclude con un opprimente macigno-monito nero. Una mostra il cui coinvolgimento è anche (come spesso accade con l’artista) intellettuale prima che estetico o esclusivamente emotivo. Un percorso espositivo impossibile da fotografare, che l’intelligenza di Maurizio Cattelan, ancora in controtendenza, ha voluto sottrarre ai social, caricandolo di una componente fisica ed esperienziale che deve essere vissuta personalmente con corpo vigile e occhi e mente ben aperti.