In quella sorta di divertissement rappresentato da Maupassant e «l’altro», Alberto Savinio scrisse: «La fotografia di Maupassant non è né schiettamente nera come la fotografia nera di Flaubert né sfacciatamente colorata come la fotografia colorata di Flaubert. È una via di mezzo; è una fotografia ritoccata col colore. Questa “delicata” tinteggiatura si riconosce nei preamboli dei suoi contes, in quel suo “ambientare” la storia che sta per narrare sia per mezzo di considerazioni generali e generiche, sia per mezzo del procedimento così caro ai narratori del suo tempo, di far narrare il racconto da un personaggio del racconto stesso». Savinio ricorda inoltre che Maupassant, di cui mette in luce la natura taurina, non arrivò mai a eguagliare il «lirismo nero del suo maestro Flaubert», quella «nudità nera» che produsse l’antiromanzo per antonomasia, Bouvard et Pécuchet.
Tanto per rimanere in tema con il colore suggerito dall’autore di Hermaphrodito, Feltrinelli manda in libreria una nuova antologia intitolata Racconti neri di Guy de Maupassant, curata e tradotta impeccabilmente da Luca Salvatore (pp. 368, € 11,00). E proprio all’insegna del racconto avvenne l’esordio dello scrittore normanno con il sulfureo La Main d’écorché, uscito su rivista nel 1875 (intense le collaborazioni con Le Gaulois, Le Figaro e Gil Blas). Ma la notorietà arrivò con Boule de suif, incluso nella raccolta collettanea Les Soirées de Médan (1880), in cui figuravano anche testi di Zola, Céard, Huysmans, Hennique e Alexis. Questi racconti, evocanti a vario titolo la guerra franco-prussiana del 1870-’71, costituiscono una preziosa testimonianza su quella che Flaubert stesso aveva definito la «banda Zola» che passava il proprio tempo a gozzovigliare nelle bettole della Rive Droite (tra cui il retrobottega di un vinaio di Montmartre chiamato «L’Assommoir») o nella casetta di Zola a Médan, disquisendo intorno a problemi artistici e letterari. E attirandosi gli strali di Edmond de Goncourt, reso ancor più acido dopo essere diventato l’inconsolabile veuve di Jules, il cui ectoplasma continuava a materializzarsi tra le pagine al vetriolo del Journal.
Come Huysmans, autore di Sac au dos, unico racconto delle Soirées de Médan che non sfiguri di fronte a Boule de suif, Maupassant si allontanerà gradualmente dal modello naturalista, orientandosi sull’exemplum variegato del suo mentore Flaubert: la madre era infatti sorella di Alfred de Poittevin, tra i pochissimi sodali dell’artefice di Madame Bovary, impareggiabile stilita dello stile, il quale considerò Maupassant il suo discepolo più dotato. Savinio precisa che entrambi si assomigliassero anche fisicamente, essendo inclini al «vercingetorigismo». Maupassant rimase sempre fedele alla disciplina dei racconti intorno ai quali si esercitò senza requie, arrivando a comporne oltre trecento, nel tentativo di coniugare il realismo ereditato dai suoi maestri con il deragliamento nel cauchemar (Poe docet, tramite il magistero baudelairiano) o nelle «situazioni claustrofiliche» di cui parla Giovanni Pacchiano.
D’altronde bisogna considerare tale genere, modellato su un edulcorato ascendente «gotico», come il più consono all’estro rabdomantico di Maupassant, anche se un traduttore d’eccezione come Sbarbaro, licenziando per Bompiani nel 1945 l’antologia Il porto e altri racconti, avanzava non poche riserve sul suo stile «sciatto» nonché sui suoi soggetti anacronistici. Ma Henry James, insuperabile maestro della short story, asseriva che «nessuno dipinge con mano tanto esatta i sentimenti della gente da poco per le cose da poco», riferendosi alla rivalutazione della mentalità degli umili contrapposta alle derive micragnose della petite bourgeoisie.
L’antologia curata da Salvatore, nonostante escluda racconti fantastici celeberrimi come L’Horlà che anticipa le atmosfere da incubo lovecraftiane, si distingue per l’acribia filologica e l’individuazione di alcune tematiche che sembrano rinviare alla scelta che fece Savinio, distinguendoli in Racconti bianchi, racconti neri, racconti della pazzia, originariamente pubblicati per Documento Librario nel 1944 e ora disponibili presso Adelphi.
Qualche racconto si impone per la sua stridente attualità: si pensi a La piccola Roque, dettagliata confessione di uno stupro intentato a una bambina. Alcune scene descritte in Storia corsa ricorrono quasi alla lettera nel romanzo Une vie (1888), quasi a testimoniare l’ossessione per il soggetto banditesco. La madre dei mostri ispirerà addirittura Conrad. Il tema della follia (si vedano La pazza, Lettera di un pazzo, Un pazzo), ideale trait d’union fra i resoconti incantati di Nerval e i mantra glossolalici artaudiani, sembra prefigurare la catabasi dell’autore, la cui sifilide sfocerà nelle allucinazioni dell’ultimo biennio. Sarà visitato, su sollecitazione della madre, da Jean-Martin Charcot, famoso neurologo della Salpêtrière i cui studi sull’isteria e sull’ipnosi ispirarono le teorie psicoanalitiche di Freud. Quasi un’investitura, alla stregua della modernità di certi spunti, neri o ritoccati col colore che siano.