Il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi «non è disposto a ragionare di nulla e non farà passi indietro». Secondo la rete degli studenti medi è questo l’esito di un incontro che si è svolto ieri al ministero in Viale Trastevere a Roma al termine di una nuova giornata di mobilitazione del movimento degli studenti che chiede lo stop e il ripensamento radicale dell’alternanza scuola-lavoro e una modifica sostanziale delle regole sulla maturità.

BIANCHI, l’altro ieri, ha fatto una concessione agli studenti stabilendo che le prove dell’esame varranno meno nel conteggio totale, cioè da 60 a 50 punti. I due scritti previsti 15 punti ciascuno e l’orale 20. I crediti misurati sul triennio saliranno da 40 a 50. La seconda prova però è stata confermata. In un parere non vincolante il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione ha scritto a Bianchi che, così concepita, la prova rischia di dare risultati difformi tra le diverse aree geografiche, tra le scuole e tra le classi della stessa scuola. E, in più, ci sarebbe un’assenza di indicazioni che possano garantire la collegialità nella formulazione della prova almeno a livello di istituto come potrebbe avvenire nel liceo classico. Da qui la richiesta di restare, almeno per quest’anno, a una sola prova scritta e a un maxi-orale. Proposta condivisa, tra gli altri, anche dall’associazione nazionale dei presidi.

IL BILANCIAMENTO del punteggio proposto non è stato ritenuto sufficiente dagli studenti che hanno posto un problema emerso in questi 23 mesi di pandemia. L’insegnamento a distanza o in didattica mista ha creato anche carenze di preparazione che non permettono agli alunni dell’ultimo anno delle superiori di affrontare serenamente l’esame di stato. Per questa ragione gli studenti ieri hanno chiesto di nuovo a Bianchi la r evoca la seconda prova, più peso del colloquio orale, basato su un elaborato scritto.

«CONTINUEREMO la mobilitazione contro questa decisione calata dall’alto». Venerdì prossimo, 18 febbraio, sono previste nuove manifestazioni. E fino a domenica 20 ci saranno gli «Stati generali della scuola» organizzati dagli studenti Uds con molte realtà politiche, sociali e sindacali per «ricostruire un nuovo immaginario di scuola. Non possiamo più aspettare, una riforma dell’istruzione pubblica del nostro paese non è solo possibile, ma necessaria».

OLTRE al presidio al ministero a Roma, dove sulla scalinata è stato srotolato lo striscione pregno di significati ironici «Gli immaturi siete voi» che ha aperto il corteo romano del 4 febbraio, ieri ci sono stati cortei, presidi e assemblee a Milano, Torino, Novara, Bologna, Crema, Brescia, Pescara, L’Aquila, Ortona, Lanciano, Perugia, Campobasso, Udine. Queste mobilitazioni vanno oltre la pur stringente questione dell’esame di maturità 2022. Sono stati gli studenti milanesi, ieri in piazza anche con quelli di Monza, Como e Vimercate, a sintetizzare l’intensità politica ed esistenziale di un movimento esploso per l’indignazione della morte di Lorenzo Parelli, 18 anni, nell’ultimo giorno di stage in una fabbrica in provincia di Udine il 21 gennaio scorso: «Siamo contro questo modello scolastico limitato a un’efficienza iper-capitalista, dove le priorità sono, in ordine: scuola, lavoro e formare una famiglia». In una sola frase, durante un corteo che ha portato in piazza Missori per un’assemblea aperta, sono state coniugate le critiche al capitalismo, al patriarcato, allo sfruttamento e all’idea dell’istruzione come formazione al lavoro di chi cerca un lavoro precario – l’«occupabilità», concetto neoliberale che molti associano erroneamente all’«occupazione». Su questo equivoco è costruito il sistema aberrante dell’alternanza scuola-lavoro, compresa la cosiddetta «formazione duale», contro il quale è emersa una chiara coscienza critica che ha smontato il sistema e chiede di ripensare l’imperativo imprenditoriale che ispira la scuola del capitale disumano, quella disegnata nell’ultimo ventennio: Berlinguer-Moratti-Gelmini-Renzi. «Sinistre» e «destre» unite dallo stesso progetto. La critica all’alternanza scuola-lavoro fa dunque parte di una critica a un sistema sociale. È questo il punto di vista generale emerso nelle mobilitazioni delle ultime tre settimane.

ANDIAMO a Torino, dove gli studenti sono stati picchiati dalla polizia il 28 gennaio scorso. L’indignazione generale ha obbligato la ministra dell’Interno Lamorgese a dare spiegazioni in Senato. In questa sede ha insinuato che tra gli studenti che cercavano di partire in corteo ci fossero «infiltrati» dei «centri sociali». Teorema respinto dagli studenti anche ieri. «Nessun infiltrato, Studenti uniti. Lamorgese dimissioni» si è letto sullo striscione esposto da un gruppo di rappresentanti degli istituti occupati (una decina) del capoluogo piemontese davanti alla Prefettura. «Accuse infamanti – hanno spiegato – Questi tentativi di dividerci in buoni e cattivi sono inutili. La nostra è una mobilitazione permanente». Il prefetto Raffaele Ruberto si è detto disposto a incontrare una delegazione. «Non accettiamo nessuna mediazione o compromesso – hanno risposto gli studenti – Per noi il gesto politico è aver schierato decine di poliziotti sotto la prefettura. Le istituzioni si prendano le responsabilità di quanto accaduto il 28 gennaio».