Centinaia di mattoncini lunghi e stretti giacevano al centro della stanza. Non erano lasciati alla rinfusa ma assumevano una disposizione logica, facendo parte di uno schema che richiamava la pianta di una città. Quelli di dimensioni maggiori stavano allineati su due file, una perpendicolare all’altra ed entrambe più lunghe di altre, che sembravano fungere da assi viari principali. Potevano corrispondere al cardo e al decumano (direzione nord-sud ed est-ovest) che intersecandosi segnavano in modo indelebile gli impianti urbani di età romana e tuttora sono riconoscibili nei centri storici delle nostre città. Anche le file più corte s’incrociavano e tutte avevano sviluppo rettilineo. La composizione occupava un vano del padiglione delle nazioni della Biennale d’arte, ai Giardini di Castello. Facevamo gruppo con altri visitatori e ci si muoveva senza una guida, non c’era neppure l’ideatore della pianta a forma di griglia. Incombevano però due bambini sui tre-quattro anni che ora con gridolini ora con strattoni tentavano di divincolarsi da genitori distratti dal susseguirsi eccentrico di quanto esposto e sfatti dalla calura del mezzodì. Fuori ci accolse la frescura delle alberature fra le quali s’innalzano i vari padiglioni. Metà anni ’80, alla presidenza dell’istituzione veneziana Paolo Portoghesi. L’architetto romano lì in laguna a inizio decennio aveva tenuto a battesimo, con l’allestimento della Strada Novissima costituita da facciate di edifici su cui trionfava l’ornamento, il post-moderno italiano in architettura. Nell’edizione che stavamo visitando era stata attrezzata una mostra all’aperto di sculture in pietra. Si godeva così dell’ombreggiamento vegetale fruendo delle opere scultoree, che simili a piccole architetture erano accessibili e attraversabili da adulti e soprattutto da bambini. Per questi ultimi infatti rappresentavano un inaspettato e inedito gioco a grande scala. In una di esse fornita di gradini per salire e di uno scivolo per scendere, rivedemmo i due bambini che intanto si erano liberati dei genitori. Oltre a sé stessi, i piccoli facevano scivolare pezzi sagomati a parallelepipedo che a fine discesa urtando sul terreno si ammaccavano o si rompevano in frantumi. Il gioco si realizzava giusto in quel modo. Peccato che si trattasse proprio dei mattoncini usati per rappresentare il cardo e il decumano. Rientrammo apprensivi nel padiglione trovandovi un paio di persone (l’artista e un collaboratore) che ricomponevano lo schema urbano. Ma con evidente differenza rispetto a quello di prima. Spariti i pezzi delimitanti gli assi principali, mutava l’urbanistica: dalla pianta a scacchiera a maglie quadrate si era passati alla pianta radiocentrica estesa intorno a un centro. E’ incredibile quello che possono i bambini!